Spotlight. Vailati e la pedofilia.

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Il film “Il caso Spotlight” ha vinto quest’anno due Oscar e numerosi altri premi: racconta una famosa inchiesta del 2001 del giornale “Boston globe” di abusi sessuali su adolescenti da parte di esponenti del clero, tenuti nascosti dagli arcivescovi di turno. Il film si muove con sobrietà e chiarezza, non lancia accuse indiscriminate e non tace le responsabilità dei giornalisti che avrebbero potuto indagare prima o i silenzi delle stesse vittime e delle loro famiglie.

La visione del film mi ha fatto ricordare una vecchia storia. Il primo caso di pedofila (con condanna definitiva) in Puglia, il primo in Italia. A Siponto. Il luogo era l’istituto di assistenza per minori Stella Maris.

Si era nella seconda metà degli anni Ottanta e di pedofilia non si parlava, non c’era alcuna pressione mediatica. Il vescovo era Vailati. Mi chiese in modo molto riservato di andarlo a prendere in episcopio la mattina presto alle 6 e condurlo presso l’istituto “Stella Maris”, dove lui interrogava il prete sul quale si stava indagando. Lo riaccompagnavo dopo un’ora circa. Feci questo per tre o quattro volte. L’istituto fu chiuso, dopo alcuni anni aprì la casa di riposo. Il prete fu processato per violenza carnale, atti osceni, maltrattamenti e violenza privata. Fu condannato in primo grado a tre anni, poi in appello la pena fu alleggerita perché si escluse la violenza carnale. Vailati, che era arrivato alle medesime conclusioni prima del completamento dell’iter processuale, ebbe un comportamento fermo e discreto, difese i diritti alla riservatezza della persona accusata e non fu mai tentato di nascondere o minimizzare; fece semplicemente quello che andava fatto. Di fronte a un film che presenta le complicità e le paure della Chiesa, mi pare opportuno presentare l’immagine di una Chiesa (e di un vescovo) che sceglie la verità e la giustizia.  

Vailati ha traghettato la chiesa sipontina verso il Concilio. Rimase 20 anni alla guida della diocesi (dal 1970 al 1990); alcuni criticavano la sua “freddezza piemontese”, e invece ebbe un grande amore per questo territorio e per la diocesi, sulla quale pubblicò molti scritti, e una storia dell’Archidiocesi di Manfredonia, che è ancora oggi un riferimento importante. Convocò e concluse il Sinodo diocesano. Molto diverso da mons. Tonino Bello, ebbe con lui una profonda amicizia e stima. Una volta raccontò di un incontro della Conferenza episcopale pugliese, dove don Tonino si presentò in ritardo e con le scarpe sporche e qualche vescovo ebbe da ridire e mormorare. Ai suoi confratelli Vailati manifestò la diversità positiva e stimolante del vescovo di Molfetta (“lui è così, ed bene che ci siano vescovi come lui!”). Era dotato di profonda ironia e aveva sempre il senso delle proporzioni. Fu lui a scrivere e a pronunciare una frase che allora mi colpì molto: Il prete viene giudicato severamente per il peccato contro la castità, ma non per quello molto più grave contro la carità. E’ sufficiente leggere gli atti sinodali, le lettere pastorali dal 1985 al 1989, le omelie di quel periodo, e le allocuzioni sinodali per comprendere l’idea di comunità, di  parrocchia (e di chiesa) che Vailati proponeva, stimolava, raccomandava.

 

 

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