il contratto d’area che piaceva a tutti

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Sul contratto d’area una voce unanime di fallimento. Tutti si tengono a distanza. Poi qualcuno ha parlato. Prodi è venuto in Puglia nel settembre dello scorso anno ed ha espresso un giudizio negativo sulle responsabilità dei governi locali nel fallimento del Contratto d’area. Non tutto può essere attribuito alla crisi. Prodi ha detto che all’inizio vi era entusiasmo, ma poi è subentrato l’atteggiamento che i contratti d’area dovessero funzionare da soli. Non c’è stato a livello locale l’attenzione a trovare gli imprenditori giusti, seguirli, fare in modo che fossero messe in atto le disposizioni del progetto. E’ mancata, come spesso avviene nel Sud, l’esecuzione. Affermazioni ripetute a Bari e a Foggia, più volte, e con toni molto netti. Il governo Prodi aveva promosso nel 1998 il Contratto d’area, un intervento compensativo dopo la chiusura dello stabilimento petrochimico. L’insediamento delle nuove aziende doveva essere preceduto dalla bonifica del sito ex Enichem; l’opera di pulizia ambientale fu condizionata dalla ristrettezza del tempo, altrimenti le industrie sarebbero andate via. Ci fu anche il tentativo di praticare una nuova modalità di governare lo sviluppo: coinvolgere le comunità locali e non ripetere l’errore dell’industrializzazione di fine anni Sessanta, calata dall’alto. Sulle parole di Prodi c’era da aspettarsi una discussione, interrogazioni, una verifica pubblica…

Il Contratto d’area piaceva a tutti. Il 2 marzo 2002 a Manfredonia si radunarono i grandi della politica e dell’economia e si parlò di costo del lavoro, flessibilità, di accordo tra istituzioni e parti sociali per un nuovo meridionalismo, e poi anche del contratto d’area. Sul quale i giudizi furono positivi da parte di tutti. Il centrodestra, con il capo del governo Berlusconi, diede un giudizio favorevole; le critiche erano solo sui tempi. In 4 anni si erano insediate 16 industrie; davvero poca cosa, sostenne il presidente della Confindustria D’Amato, a Timisoara (Romania) in 2 anni erano entrate in produzione duemila aziende. Gli industriali (ai quali è stato detto che dovrebbero riscoprire il piacere del rischio) vogliono investire solo a determinate condizioni. Non fanno differenze se in Romania o in Italia. Non ci sono legami nazionali, nemmeno è tenuta molto in conto la tanto gridata sicurezza. Contano solo i vantaggi economici. E vantaggi ne hanno in Romania con il costo del lavoro bassissimo, e a Manfredonia con gli incentivi del governo. Su 220 milioni di Euro investiti, ben 157 erano messi dallo Stato (parliamo dei primi 4 anni).

Nell’incontro di Manfredonia sono state poste molte domande. E’ uno sviluppo che durerà? Quale potrà essere il peso dell’imprenditoria locale? E poi, questa proliferazione di piccole aziende, diverse, non collegate tra loro… Non è una debolezza? Si sostenne, che l’assenza di un distretto industriale, e la presenza quindi di industrie così variegate, potrebbe essere addirittura un aspetto positivo, dal momento che la crisi di un settore non avrebbe compromesso lo sviluppo del territorio. Così non è stato e il tempo ha dato la sua risposta.

Il Contratto d’area ebbe vari protocolli che ampliarono il raggio d’azione di uno strumento operativo concordato tra amministrazioni, anche locali, sindacati, rappresentanze dei datori di lavoro e altri soggetti e partiva dall’idea di migliorare il contesto, in cui i cittadini vivono e le imprese operano. Era posta l’attenzione su sicurezza, legalità, giustizia, formazione, ricerca, innovazione, servizi collettivi. Le nuove politiche dovevano essere incentrate meno sugli incentivi e molto più sugli investimenti pubblici. “Gli incentivi fanno sopravvivere oggi, ma si sarà competitivi domani solo se il territorio su cui si opera è di qualità”.

Perché è fallito? Il contratto d’area colmava i difetti della industrializzazione passiva, nasceva per comprendere le esigenze locali e coinvolgere i soggetti locali. Che cosa non ha funzionato? Ci doveva essere e ci può essere una discussione, anche per capire come e da dove bisogna ricominciare. A meno che non si voglia affermare in tono perentorio che questa città deve puntare solo ed esclusivamente sul turismo e la pesca. Io credo, invece, che l’industria debba avere un ruolo in questo territorio.

 

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