Don Chisciotte. Ma pietà si scrive con una t o due? Facciamo tre.

CULTURA

Sappiamo fin dall’inizio che Don Chisciotte è destinato al fallimento. Eppure seguiamo con simpatia le sue avventure e non rimaniamo indifferenti quando, sconfitto e  gettato a terra, pronuncia parole indimenticabili: “Dulcinea del Toboso è la donna più bella del mondo ed io il più sventurato cavaliere della terra; né si deve dire che, perché io sono debole, venga meno questa verità… o cavaliere, toglimi la vita, poi che mi hai tolto l’onore”. L’immagine del cavaliere Don Chisciotte e del suo scudiero Sancho e delle loro sconfitte ridicole è diventata una componente importante dell’animo umano, dei sogni e delle sconfitte degli uomini.

Non penso solo ai disoccupati che continuano a credere, a sperare in un posto di lavoro (e a fidarsi di chi glielo promette), ai migranti che inseguono il sogno di una nuova terra, ma a coloro che nella quotidianità coltivano piccoli sogni d’amore, di uguaglianza, di integrazione.

Come Marta, conosciuta anni fa, innamorata di Andrea, un giovane più grande e pure lui con problemi di disagio mentale. “Sono innamorata. Ma non mi fanno incontrare con Andrea. Non posso più uscire. Te lo ricordi Andrea?… Pure lui è innamorato di me. Siamo andati insieme alla gita e stavamo seduti a fianco. Mi dicono che se nascono i figli… scema io e matto lui! E’ venuto qui, a casa, ha suonato, ma io non ho potuto aprire la porta. E lui è rimasto fuori”.

Oppure quella madre che deve fare i conti con la figlia disabile che frequenta la scuola superiore e  vive la scoperta (come tutti) della sessualità. “E’ innamorata di un ragazzo, ma lei è…  È difficile parlare. E non l’accetta. Mi dice sempre: ma non mi hai detto che dovevo fare tutte le cose come gli altri?”.

O Michele con una forte sofferenza psichica, che chiede: “Ma perché non posso avere una famiglia come gli altri, un padre e una madre?” Tutti ragazzi che esprimono in modo straordinario i loro bisogni di affetto, di amore, di essere come tutti, e poi non riescono a gestire la vita quotidiana. E noi già sappiamo che, come Don Chisciotte, i loro tentativi sono destinati al fallimento. O forse chissà!  

A Foggia c’è una mostra fotografica dei detenuti del carcere, “L’altra possibilità”, curata dalla Fondazione Banca del Monte. Tanti volti e tante persone che raccontano ansie, speranze e paure. In carcere frequentano corsi, coltivano interessi, sono usciti dalla droga. Il ritorno alla vita normale è visto con timore. Come sarà? Che cosa troveremo? Si fideranno di me, di noi? “Mia figlia, quando venne a trovarmi, non riuscivo ad abbracciarla. E’ stata lei a dirmi: più forte, abbracciami più forte”. “Qui ho fatto delle cose, che mio padre per la prima volta sarebbe orgoglioso di me”. “E’ una possibilità che non voglio perdere. Spero di farcela”. Molti frequentano la biblioteca del carcere, scoprono la lettura, incontrano autori. Il bibliotecario, detenuto anch’egli, racconta: “Alcuni imparano a scrivere: pietà si scrive con una t o con due? Io ho risposto tre. Sì mettine tre, che ce ne vuole assai. Oh, ma hai scritto pietà pure con la b.”

Chiuso il libro di Don Chisciotte, “il testo, scrive Borges, continua a crescere e ramificarsi nella coscienza del lettore. Quest’altra vita è la vera vita del libro”. E lo spirito di Don Chisciotte aleggia anche nel nostro mondo. Ci sono tante persone che cercano (in umiltà e in silenzio) di costruire relazioni ricche di senso, provano a produrre amore, compassione, solidarietà, mostrano di non avere paura dei conflitti, delle divergenze, sperimentano soluzioni possibili, nuovi legami sociali, nuovi rapporti con la natura. Accettano l’epoca che viviamo, con tutte le contraddizioni e le sfide che questo comporta, non seguendo modelli alternativi o utopie astratte, ma facendo quello che pare giusto e necessario, qui e ora. Non nascondono “l’assurdo che è nel mondo”, cercano di essere franchi agli altri e a sé, “sognando gli altri come ora non sono”.

Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterShare on LinkedIn