Le periferie, i comparti, le responsabilità

CULTURA

“La periferia per come la intendiamo noi è un concetto strettamente europeo… le città nordamericane, come Toronto o anche quelle storiche come New York, ignorano letteralmente cosa sia periferia, perché un centro non c’è”.

“Il confronto viene spontaneo con le periferie descritte in tanti film degli anni sessanta – settanta (Pasolini, Monicelli, Visconti…); allora però, in chi decideva o era costretto ad abitarvi, c’era la tensione e la consapevolezza di un destino collettivo, che lo portava a subire ritardi, disservizi, carenze”.

“E’ questo che oggi manca totalmente.  Nessuno è più disposto a unire il proprio destino individuale a una scommessa collettiva. La città diffusa, lo sprawl urbano, lo sviluppo tentacolare delle periferie, la Los Angeles che si è sviluppata sotto i nostri piedi anche in Italia, è leggibile nel sogno individualista delle villette da Biancaneve e i sette nani”.

“Ed è quello che si vede nei comparti, che forse non dovevano essere progettate solo da ingegneri o geometri”.

“Bisogna inventarsi luoghi di integrazione e mettersi insieme. Lì non c’è nemmeno la piazza!”

“Le piazze sono l’elemento caratterizzante delle città italiane, il cui potere di aggregazione ne ha fatto il fulcro della comunità.  Nei nuovi insediamenti mancano, ma un modo per supplire all’assenza di piazze è la pedonalizzazione di assi viari che abbiano la potenzialità per diventare luoghi di aggregazione”. Sono queste le voci di un dibattito (con qualche variazione), presentato sulla rivista Limes, uscita in questi giorni. L’ultimo intervento è del ministro Franceschini. Il riferimento è a un’ampia area periferica di  Roma, ma può valere anche per i Comparti.

Il modello dei Comparti, la città estesa, tentacolare, con case recintate, distanti, senza piazza, immense rotatorie, non è una invenzione di Manfredonia. E’ un modello diffuso e dominante a livello planetario.

A Manfredonia non si può parlare di abusivismo e speculazione come altrove. Tutto è partito da un Piano regolatore sovradimensionato e poi si è messo in moto un carro che nessuno è riuscito (o ha voluto) più a fermare. La responsabilità è della politica, ma riguarda tutte le classi dirigenti di questa città. Vanno chiamati in causa anche i tecnici, i consorzi, la febbre collettiva di coloro che volevano la casa “sognata”, i costruttori, i proprietari dei suoli, l’intero settore edile…

Manca una piazza. Se si vuole una piazza come luogo fisico, non ci vuole molto per farla. Lo spazio ce ne è a iosa. E poi c’è il supermercato. Ma la piazza non può essere un luogo aperto, senza limiti. La piazza deve offrire protezione e sulla piazza devono affacciarsi luoghi di pratiche civiche (associazioni, uffici…) ed esercizi commerciali.

L’Urbanistica può fare poco. E’ necessario la scoperta di un senso di appartenenza. E’ sempre la stessa storia: mettere insieme i destini. Qualcuno si ricorderà del tentativo effettuato alcuni anni fa di portare le associazioni nelle periferie (in particolare nel II piano di zona), in occasione della proposta di nuovi consigli di quartieri, che sostituivano le circoscrizione abolite. Non si riuscì, nonostante l’offerta della sede e di un sostegno economico per attività specifiche nel quartiere. La scuola può fare molto, ma lì non ci sono scuole e tutti vanno altrove. Può fare qualcosa la parrocchia.  Ma tutto deve partire dal basso, dalle esigenze quotidiane. Quelle che riguardano la vita di tutti i giorni dei bambini, degli anziani… Movimenti dal basso che il “pubblico” (Amministrazione comunale e non solo) può e deve cogliere, assecondare, promuovere.

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