Il Sud cresce e trascina il Nord. Ma è proprio così?

SOCIALE

Cresce il sud. Finalmente. Le analisi dell’Istat dicono che dopo diversi anni (dal 2008) nel Sud la ricchezza prodotta è aumentata di un punto; rispetto al resto del paese che ha registrato solo un aumento dello 0,8 per cento. Una piccola cosa, per la prima volta un piccolo salto in avanti. Soprattutto una iniezione di fiducia. Se osserviamo i dati vediamo che è l’agricoltura che registra da sola un 7,3 per cento in più. Il resto è fermo o quasi, ad eccezione del turismo che registra una crescita costante mantenuta in questi anni, anche per le difficoltà di altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo dovute alla scarsa sicurezza e al terrorismo.

Pur con tutti i limiti la notizia è comunque un fatto positivo. Che la situazione dell’agricoltura registrasse un cambiamento non era difficile prevederlo. Bastava girare per le campagne e guardarsi intorno. Saltava agli occhi nei mesi invernali un paesaggio variegato e vivace: raccolta di ortaggi, contenitori e automezzi di gruppi agroalimentari famosi (di quelli che fanno la pubblicità in televisione) per raccogliere prodotti da esportare, attività di semina e di cura di prodotti primaverili. Un settore in movimento con produzioni di qualità, sempre più richieste da un mercato e da consumatori attenti a una alimentazione equilibrata. Notizie confermate da qualche discussione con i giovani agricoltori protagonisti di questo “orgoglioso” ritorno alla terra, confermato dalle iniziative di gruppi di giovani che sperimentano forme originali di cooperazione e di utilizzazione delle nuove tecnologie (se ne è parlato anche nel corso del convegno su Don Milani organizzato dalla Bottega degli apocrifi a Manfredonia)

Quello sguardo, quelle impressioni ora sono ufficializzate dai dati.

C’è il turismo e l’agricoltura, ma non sono sufficienti per lo sviluppo.

L’industria manifatturiera è ferma. E la crisi rischia di acuirsi di fronte alle prossime spinte di rivoluzione digitale. Il Sud non riesce ad attirare capitale privato e, inoltre, la maggior parte delle aziende sono poco innovative

Il rapporto Svimez di un anno fa parlava in termini drammatici di desertificazione industriale. Il termine era forse eccessivo. Il settore, però, ha perso 14 punti in questi anni di crisi, e aver guadagnato 1 punto è ben poca cosa.

Intanto si è concluso a Barletta, Trani… un grosso evento, DigithOn, una specie di festival delle idee innovative. C’è stato entusiasmo e interesse. Proprio nella tecnologia digitale, nella ricerca di alimenti con nuove caratteristiche (pasta anticolesterolo ad esempio), nei prodotti di cura (integratori) ci sono proposte interessanti, sostenute anche da un lavoro di ricerca delle singole aziende.

Queste imprese riescono a crescere, sono importanti, ma non creano una cultura, non uno sforzo collettivo. Avanguardie, e dietro non c’è un esercito. La meraviglia e la sorpresa di responsabili della cosa pubblica, i commenti entusiasti e un po’ troppo generici sulla crescita dimostrano come non conoscono il territorio, non i cambiamenti in positivo o in negativo. Un fenomeno che accade ovunque. In Inghilterra il dibattito dentro il partito laburista fa capire che si ignorava il risentimento dei ceti popolari. Quello che avviene nel mondo intorno non sembra interessante. Facebook è più rassicurante. Manca la curiosità di vedere (anche da lontano) cosa sono i ghetti. Non suscita allarme il calo dei residenti in Capitanata. Forse nemmeno ci si chiede come accompagnare questa crescita e trasformazione dell’agricoltura.

Per ora consoliamoci: I dati sono positivi. Si sono persi 14 punti e ora se ne guadagna 1.

Ma deve ripartire l’industria. Le famiglie soffrono, ci sono preoccupanti fenomeni di esclusione, fasce popolari che non stanno bene.  I giovani continuano a partire.

Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterShare on LinkedIn