Il Duomo nel deserto. Segezia e i sogni mancati di Concezio Petrucci.

CULTURA

Ci si perde nelle campagne. La segnaletica non c’è. Anche il navigatore ti porta lontano, verso tante ville, uguali, grandi, brutte e abusive. Poi giri intorno e improvvisamente vedi il campanile, alto, snello, pieno di buchi. Arrivi in piazza e scorgi la facciata della chiesa con tante piastrelle di ceramica, ognuna con immagini e colori diversi. Concezio Petrucci aveva progettato con altri Aprilia, Pomezia e Fertilia. A Segezia fa tutto da solo. Con una grossa novità. Nelle città dell’Agro pontino il centro della civitas è la torre littoria. A Segezia invece il centro è il campanile che si presenta fragile, sottile e al vertice una cuspide piastrellata di verde.

Un cambiamento di prospettiva radicale. “Segezia è l’opera di un artista che ha visto sconvolto tutto il proprio mondo e gli è uscito quel campanile che è come l’urlo di Munch” (A. Pennacchi).

La torre littoria rappresentava la comunità, l’immagine di quello stato etico in cui ogni individuo, organizzato secondo le gerarchie corporative, doveva realizzarsi. Ora invece la comunità si specchia in altro, in un legame che va oltre, è universale, impegna gli uomini a restare umani. Perché questa novità? Petrucci è fascista, è stimato da Araldo di Crollallanza e dal Duce. Sono state le leggi razziali a cambiare la sua visione del mondo.

Petrucci incontra presso comuni amici Hilde Brat, ebrea berlinese, giunta in Italia nel 1934, il marito, anch’egli ebreo, l’avrebbe raggiunta al più presto. Si uccide invece subito dopo, in seguito alla confisca delle sue aziende da parte dei nazisti. Petrucci e Hilde nel 1938 hanno una figlia (Flaminia) e vanno a vivere insieme a Roma. Continua il suo lavoro intenso di architetto, ma è totalmente dedito a proteggere moglie e figlia, con spostamenti continui, documenti falsi, la protezione di amici… Hilde era per la figlia e per gli altri l’istitutrice francese: solo dopo 6 anni con l’arrivo degli americani a Roma il sotterfugio viene svelato. Si sposano. In quei giorni Hilde Brat viene a sapere, dalle notizie che arrivano in Vaticano, che il figlio del precedente matrimonio Gert, lasciato in Germania con la nonna e che doveva raggiungerla in Italia, era stato ucciso a Mauthausen.

Su queste storie sono stati scritti due romanzi: il primo di Enzo Siciliano (che ha sposato Flaminia Petrucci), “La notte matrigna; l’altro della stessa Flaminia: “Uova di luce”. In entrambi si parla di Concezio Petrucci, che muore a Roma nel 1946 a 44 anni.

Era docente alla facoltà di architettura a Firenze, ha costruito varie città, edifici importanti a Roma, Foggia, Bari, ma a Segezia (lui era pugliese di S. Paolo Civitate) ci ha messo l’anima. Flaminia, elaborando i racconti ascoltati, ricostruisce i sogni del padre, che osservando i contadini mentre aravano la terra arida e piatta della campagna intorno, pensa che “ogni cosa avrebbe prodotto fertilità, futura ricchezza; la modernità presto avrebbe preso il posto dell’arretratezza del Sud. Strade e piazze costituivano l’unico mezzo per l’aggregazione sociale, futura ricchezza di questo mondo nuovo. I rapporti tra gli abitanti si sarebbero intensificati, con la rinascita dell’artigianato… nuove botteghe per la ceramica, il ferro, il legno. Larghe strade univano i borghi tra loro, avrebbero permesso nuovi scambi commerciali. Era l’obiettivo che il suo disegno urbanistico si era proposto. Nuove città, nuova prosperità”. Era una grande scommessa. La qualità architettonica dei fabbricati superava ogni aspettativa e “i contadini avrebbero trovato nelle sue chiese la stessa religiosità delle antiche cappelle”.

Flaminia si reca a Segezia la prima volta con il marito Enzo Siciliano e un giovane architetto  che stava lavorando a uno studio sull’opera del padre. Da lontano il campanile sembra la punta di una matita ben affilata. Arrivano “su una piazzetta imbevuta di sole” e intorno “acquattate alcune basse costruzioni a corona”, una campagna piana, con le stoppie del grano che lambiscono le case. “Sono di fronte a una piccola piazza dei miracoli: la torre di Pisa è la matita che vedevo la lontano, su una pietra del giallo biscotto di Trani è scolpito: Concezio Petrucci. Architetto. MCMXL XVIII. E’ successo così: mi è stato fatto questo magnifico regalo. Segezia è mia…”.

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