Le ripartenze. Quelli che partono. Quelli che restano. Quelli che ripartono

CULTURA

La chiamerò Michela: gli studi in una università del Nord, Erasmus, dottorato. Poi esperienze di lavoro all’estero: Lisbona, Praga, Berlino. La incontro a Siponto dopo circa quindici anni dalla fine degli studi liceali. Ritornata da più di anno in Italia, ora riparte senza accarezzare più la possibilità di ritornare.

“Non per il lavoro che non c’è, anche se ho trovato delle cose da fare fuori, nel barese. E’ altro che mi spinge ad andare via. Qui mi sento calamitata in una vita da spettatrice. Vado via per questo. La sera ci si incontra tutti in uno spazio di poche centinaia di metri. Qualunque cosa dico mi sussurrano: “ma tu con chi stai?”. Se chiedo qualcosa su Energas, si affrettano a dirmi: “ma perché sei a favore?”. I comparti fanno star male e ora danno altre concessioni… tutti cercano la villetta e il giardino, il giardino e i recinti. Nuovi insediamenti separati dalla città. Nei miei anni fuori sono venuta spesso, non mi illudevo, scorgevo però piccole cose nuove e mi aspettavo che crescessero. Scorgevo una vitalità popolare, ingegnosità e creatività della gente, ora invece scorgo rassegnazione e adattabilità, disposizione a mettersi a disposizione. Poco cinema, teatro, pochi libri o riviste. Se si chiede a un avvocato, a un medico, a un politico se hanno acquistato o letto qualche libro di recente, si potrebbe sentire rispondere, che, dopo la scuola, solo i libri della professione. Se si va in uno studio (medico, tecnico, legale), non vi è la presenza nemmeno di riviste e pubblicazioni aggiornate. Eppure liberi professionisti con una cultura aggiornata  sarebbero oggi importanti… Ogni comunità ha bisogno di qualche parola d’ordine, qualche sogno, che so io… qualcosa da discutere e condividere. Il lavoro, l’immigrazione, il buon governo, la critica al clientelismo, i favoritismi… magari non ci si crede, ma può essere il modo per tenere viva una esigenza, tenere aperto un problema importante, una forma di rispetto per chi è giovane e spera ancora…”.  Michela non è un fiume in piena, piuttosto è una corrente calma e rassegnata. “Ci vuole qualcosa come una dittatura, qui, per scuotere questa fuliggine, foschia…”.

Prima erano i meno istruiti che partivano, con le grandi ondate migratorie dell’inizio del Novecento e quelle del dopoguerra verso l’Europa centrale. Ora sono i più istruiti ad andare via e la mobilità è massima tra i laureati. Sono 205.000 dal 2001 al 2014. Aumentano di mille all’anno e la prevalenza è femminile. Molti partono per l’Università e poi non tornano più.

Forse sono più i giovani laureati che stanno all’estero (Londra, Barcellona, Berlino…) che a Manfredonia. Qualcuno, volendo, potrebbe rientrare, ma a Londra si trova bene, lavora nella ricerca: “Si è valorizzati per quello che si è e si fa”. Seguono la città mediante Internet, sono informati su tutto, e quello che leggono e sentono non lo trovano spesso gradevole.

I meno istruiti non partono per scarse informazioni e perchè non conoscono le lingue. Ma non restano in attesa. Nel salone di un barbiere di periferia ho conosciuto giovani che si alzano ogni mattina alle tre per andare a vendere il pesce nel subappenino daunio o in Campania. Sulle strade di Siponto ho incontrato l’estate scorsa due giovani che aspettavano il furgone per andare a lavorare con altri nel nord barese. Presso un’autofficina ho assistito a una discussione, nei giorni della festa patronale, perché l’auto non era pronta e il giorno dopo un gruppo di Manfredonia doveva andare in trasferta in Germania (partenza il lunedì e ritorno il venerdì).

In tutti la convinzione che devono basarsi sulle proprie forze. La politica non esiste. Forse servono le parole, una retorica, una sana e provocatoria “demagogia” per costruire un racconto minimo di una città che apprezza la qualità e le competenze. Ed anche orgoglio, sorpresa, critica, abnegazione, gratuità, cultura disinteressata, che sono le sole cose che rendono cittadini e non postulanti.

 

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