Andare in pensione a 30 anni. Erano belli quei tempi (per alcuni)!

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Il nome di Ermanna Cossio non dice nulla. In effetti è un nome di cronaca minore. La Cossio (bidella di Udine) detiene il primato per avere maturato i requisiti previdenziali a 29 anni e 3 mesi. Un’età in cui pochi riescono oggi a iniziare il percorso lavorativo. E’ andata in pensione nel settembre 1982 dopo aver lavorato secondo la legge 14 anni e 6 mesi (donna con prole). Tanto era sufficiente. Aumentavano gli anni per gli uomini: 19 anni e sei mesi. Mentre ci volevano 24 anni e 6 mesi se dipendenti degli Enti locali.

Tutto a carico dell’Italia intera. Non è vero, come dice Renzi, che, per l’immenso e immorale debito pubblico, non ci siano colpevoli, stavolta c’è: il decreto Dpr del 29 dicembre 1973 di Giovanni Leone. Presidente del Consiglio Rumor, ministro della previdenza sociale Silvio Bertoldi e del tesoro Ugo la Malfa. I sindacati erano  d’accordo, e anche l’opposizione. Nessuno pensava alle conseguenze.

I baby pensionati ricevono un assegno lordo di 1500 euro mensili e lo incassano da 30, 40 anni. Sono migliaia. 80% dipendenti pubblici, per la maggior parte residenti al Nord e oltre la metà sono donne.

Nel 1982 fa notizia pure Francesca Zarcone nata nel 1951 (alcune sue coetanee stanno ancora lavorando) che lascia il posto di bidella dopo 11 mesi dall’assunzione. Si avvale della ricostruzione dei contributi precedenti versati nel settore dell’artigianato.

Questi alcuni dati: nel solo 1982 su 647 maestri in pensione 95 sono quelli andati in pensione per raggiunti limiti di età. Su 1231 professori delle medie ben 950 in pensione anzitempo.  E poi su 219 bidelli i baby pensionati sono 211. La legge (fatta con leggerezza, “tanto sono pochi”, avranno pensato) dispiega i suoi effetti negli anni Ottanta. Una corsa a chi arriva prima: a 30, 32, 34 anni, poi vince Ermanna Cossio. Molti erano funzionari all’Università, al Politecnico.

Per gli uomini non sono pochi quelli che non rispettano la regola dei 19 anni e chiedono l’anticipo, visto che devono accudire la prole. Ci sono Tar e Corte dei conti che danno ragione. Infine la Corte Costituzionale stabilisce la differenza. Non è vero che i diritti statali non abbiano sesso. La vocazione familiare può essere invocata solo dalle mamme.

Come le persone sopra riportate, usufruiscono di queste agevolazioni non pochi cittadini di Manfredonia. E’ normale. Se c’è la legge! Sono docenti e bidelli, tra essi ingegneri e anche preti (ricongiungono gli anni dell’insegnamento di religione), ma almeno questi ultimi non fanno il secondo lavoro.

Al Liceo scientifico, di fronte ai pensionamenti di persone di 35 – 40 anni, un insegnante di matematica faceva i conti e non si dava pace: “Ma ti rendi conto? Di questo passo mandiamo a carte quarantotto i conti pubblici. E chi pagherà? Possibile che non si rendono conto delle conseguenze?” Gli faceva eco un insegnante di storia e filosofia, che elogiava il pareggio di bilancio della destra storica e di Quintino Sella in particolare.

A livello sindacale parlarono di una conquista, per le donne in particolare. Questo avrebbe creato occupazione. Turn over.

Tutto negli anni Ottanta. Sono gli anni dell’arricchimento, dell’evasione fiscale, del registratore di cassa e degli scontrini, definiti dal presidente della Confcommercio, strumenti vigliacchi. Gli anni delle leghe, delle scritte “Forza Etna”, la richiesta del dialetto in Parlamento, le telerisse, le baby pensioni e di altro ancora. L’inizio della barbarie dice un libro di Paolo Morando, uscito quest’anno.

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