Pensavo fosse un congresso e invece era un calesse

CULTURA

Ricucire il rapporto con i territori, con la base; ascoltare i “magnifici” militanti del PD; dare voce a “questo popolo meraviglioso”… Siamo gli unici a tenere un congresso… Questo dicevano tutti. Da quello che ho sentito e da quel poco che è uscito fuori vi è stata solo la lettura e illustrazione delle tesi e poi il voto. Nessuna sorpresa nel risultato, l’orientamento dei leader è stato pienamente rispettato. Almeno in Capitanata.

“Il midollo del leone” è un libro scritto da Alfredo Reichlin (1925 – 2017), nella consapevolezza che tra il suo tempo e quello che stiamo vivendo, c’è una cesura profondissima. Non si tratta solo di grandi mutamenti sempre avvenuti nel corso della storia, ma di qualcosa di diverso e sconosciuto: nuove condizioni del vivere, del conoscere, comunicare, nuove scoperte, imponenti migrazioni…

Reichlin ha presieduto la commissione che, nella fondazione del PD 10 anni fa a Torino, ha elaborato una “carta dei valori”, che non contiene un elenco di principi (del resto per un partito non ideologico, nato da culture politiche diverse, sarebbe stata una contraddizione), ma ragionamenti, orientamenti per provare a stabilire: “Chi siamo, a cosa serviamo, quale mondo vogliamo”.

“Il midollo del leone” è del 2010, il titolo prende spunto da una frase di Italo Calvino riferita a Giaime Pintor (1919 – 1943), morto a 24 anni, mentre tentava di attraversare le linee tedesche. L’esempio di Pintor, intellettuale raffinato, collaboratore della Casa editrice Einaudi, traduttore di Rilke e lettore di Montale, ci dice come “in ogni poesia vera esiste un midollo di leone, un nutrimento per una morale rigorosa, per una padronanza della storia, per una ricerca del bello e del bene, questo è il midollo del leone che Pintor, morse dalla civiltà letteraria che l’aveva preceduto”. Nella sua ultima lettera Pintor scrive che è stata la guerra a spingerlo a trasferire la sua esperienza sul terreno dell’utilità comune, della storia, a opporsi all’evasione, all’ambiguità morale, all’indifferenza. Ci sono dei momenti in cui “la politica cessa di essere ordinaria amministrazione e impegna tutte le forze di una società per salvarla da una grave malattia, per rispondere a un estremo pericolo”.

Ora non c’è la guerra ma una svolta altrettanto epocale, difficile da capire, analizzare, ma che sta trasformando il mondo. Nel libro molte domande. Cosa resta della politica? Quale il midollo della sinistra legata all’albero della vita e non al grigio dell’ideologia? Quale impegno oggi? Quale Mezzogiorno? Quale riformismo? Come dare l’immagine di una politica “costruzione della polis”? Nei partiti si faceva analisi. Oggi dove si fa analisi sociale e politica?

Non c’è la guerra ma le giovani generazioni sono poste di fronte a problemi vitali, ad un dramma già scritto dove esse sono destinate a fare le comparse o le spettatrici. C’è bisogno del midollo del leone perché abbiano la forza di entrare sulla scena… Si poteva provare nei “congressi” a lanciare qualche messaggio, a tentare di riannodare i fili, provare a dialogare, far capire che bisogna riprendere a pensare e agire. “Abbiamo annunciato il vangelo ai credenti (e per giunta un po’ farisei), ma senza provare a coinvolgere i dubbiosi, gli incerti“. Dice una voce critica dall’interno.

La sfida è sempre la stessa: intrecciare la politica orizzontale, quella delle città e del territorio, dove vive la gente, e la politica delle grandi scelte nazionali e oltre. Incontrare i temi del lavoro, del rispetto per chi lo cerca, l’immigrazione, le periferie, la legalità… E cioè far irrompere la realtà nella discussione, nel dibattito…  Se non ora, quando?

Pensavo che fosse un congresso e invece era un calesse. O meglio tre calessi che si sono allontanati con il loro carico di tessere.

 

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