La lunga crisi montanara. Ancora dentro al tunnel. Ma nel voto alle donne c’è forse una risposta.

CULTURA

Se si fosse svolto un referendum a Monte S. Angelo tra continuare il commissariamento o il ritorno al voto, il risultato sarebbe stato incerto. Anche a Manfredonia, e altrove, serpeggia questo sottile desiderio. Tra cittadini e istituzioni c’è una crisi di fiducia, che è il lubrificante della vita sociale, è come l’aria che respiriamo, di cui comprendiamo l’importanza quando viene a mancare. Ma la fiducia ha bisogno di trasparenza, esige che tutto sia svolto alla luce del sole. Solo con il “dire la verità” si può ottenere quello che la democrazia si prefigge: la partecipazione dei cittadini alla formazione delle decisioni collettive.

Non ci possono essere vuoti o smagliature nel tessuto della comunità. Il vuoto è presto riempito da qualche altro meccanismo sociale. Un sostituto della fiducia nelle istituzioni è il legame clientelare che “diffondendosi in una società provoca un ingannevole senso di ordine e capacità di previsione, una sensazione di controllo su un ambiente caotico” (P. Sztompka). Se non vi è fiducia nelle istituzioni o non si vota o si usa in modo strumentale il diritto di voto.

A Manfredonia (ma il dato è simile ad altri comuni) una parte consistente di consiglieri sono dipendenti Asl o collegati a strutture sanitarie. Una decina di eletti hanno superato 700 – 800 voti. Qualcuno arriva fino a mille. Possono essere simpatici, fanno una buona campagna elettorale, ma lo scarto è troppo netto rispetto a chi, pur avendo un ruolo politico importante e visibile, di voti ne prende solo 200 e non viene neppure eletto. A Monte S. Angelo si è verificata la medesima situazione e sono stati sfiorati i 900 voti! Fanno favori? Non lo credo. Ma possono essere percepiti come coloro che in caso di bisogno… Non si sa mai! In un momento di crisi il voto è leggero, una croce non costa nulla. C’è poi la convinzione (errata) che non esista più il voto di opinione, che è invece semplicemente il voto “politico”, dato a questo o quel candidato, senza nulla chiedere in cambio. Un vizio di origine altera e condiziona tutto l’iter democratico: la scelta dei candidati non si rivolge alle competenze, ai rappresentanti di categorie sociali o movimenti di opinione, ma ai portatori di voti, che conoscono le modalità per averli e controllarli.

A Monte c’è una ferita profonda. Un enorme vuoto di fiducia che non può colmarsi senza verità. Ci sono molti dubbi e tanta nebbia, e il clima politico resterà a lungo avvelenato. C’è stata una campagna elettorale visibile e poi un’altra invisibile, con altre parole e altro linguaggio, al punto da “inzeppare” la vita sociale, ed anche le relazioni personali, con un carico di sospetto insostenibile.

Però a Monte è emerso un aspetto non riconducibile a quanto detto sopra. Nuovo e interessante. L’elezione delle donne. Non ha nulla a che fare con la “riserva” delle quote rosa. Il voto alle donne potrebbe nascere da una esigenza di attenzione alla quotidianità, di premura, di stile relazionale. Potrebbe essere l’espressione del bisogno di una azione politica che si prenda cura, sappia ricucire, ricomporre visioni. Una nuova politica, e nuovi politici con un senso di maternità e paternità nei confronti della propria comunità.

Sei ciechi, dice un apologo indiano, sono posti davanti a un elefante. Il primo dice è un muro (tocca i fianchi), è un serpente, dice il secondo e tocca la proboscide, il terzo un albero (le zampe), poi un ventaglio (le orecchie), una corda (la coda), una spada (le zanne). Ognuno scambia una parte per il tutto, e tutti, sicuri di sé, evitano di scambiarsi informazioni. Ricomporre le visioni: forse è la base per la ripartenza.

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