Riusciranno gli archeologi a ritrovare il palazzo del Gastaldo di Siponto? Forse bisogna cercare nelle chiese e nei conventi della nuova città.

CULTURA


Un ritrovamento che meriterebbe una intera campagna di scavi. Su Siponto, lo diceva tante volte l’archeologa Marina Mazzei, abbiamo molte fonti e testimonianze letterarie, e pochi riscontri nelle pietre, nei reperti. Dal palazzo del Gastaldo il duca di Benevento Godescalco emanò l’atto con cui, nel 740, concedeva ad Aufrido una famiglia di servi, abitanti in località Fenilia; sempre da Siponto il principe longobardo Giovanni (in Palatio nostro) permetteva a un gruppo di cittadini di tornare ad abitare una località detta Tilea, che era stata saccheggiata dai Saraceni, i quali avevano abbattuto e portato via tigli di altezza immensa (arbores altitudinis immensae). I documenti dell’abbazia di S. Leonardo che registravano contratti e matrimoni… continuarono per secoli (sicuramente fino al 1400) a seguire le prescrizioni dell’antico codice longobardo, su cui vigilavano funzionari come Buila, l’avvocato dell’episcopio che, nel 1023, si qualificava come chierico e gastaldo.

Nulla resta della più importante comunità ebraica nell’Italia del Medioevo. Qui Melchisedeq (1090-1160) ha scritto un commento, ancora oggi ritenuto molto autorevole, sulla Mishnah, la grande raccolta della sapienza rabbinica, ed era definito come il grande maestro della città di Siponto (magnus vir ex Siponto urbe). Sempre qui il rabbino Anan bar Marinos ha composto, tra altre cose, un inno al profeta Elia, che ci rivela la presenza a Siponto di antichi testi poetici e narrativi. C’è stata la politica delle conversioni forzate. E’ vero. Ma anche a Trani: lì però sono rimasti segni, case, sinagoghe. Lì è rinata oggi una cultura ebraica. A Trani opera Francesco Lotoro che ha compiuto quell’opera straordinaria di raccolta delle musiche composte nei lager. Luoghi che furono Sinagoghe sono presenti in  molte città. A Siponto, uno dei centri più importanti d’Italia, tutto è cancellato. Gli ultimi ebrei scomparvero definitivamente nel 1534 quando un gruppo di famiglie importanti furono accusate di praticare di nascosto riti ebraici. Accuse poco credibili. Fu una lotta di potere. Si allontanarono come altre dal Regno e raggiunsero Salonicco. Pare che in quella grande città ci fosse una sinagoga chiamata Siponto. I quartieri ebraici furono distrutti da uno spaventoso incendio nel 1917. Nel 1943  tutti gli ebrei (un quinto della popolazione) furono deportati ad Auschwitz.

Si può scavare l’anfiteatro? Certo. Si deve. L’anfiteatro si trova vicino alle mura verso Nord, dopo che queste erano state ristrette in seguito  a una delle tante distruzioni subite. Era imponente. Matteo Spinelli dice che “la figura di un tale luogo è ovata, ed ha la circonferenza di seicento passi” e aggiunge che, nonostante le rovine, ai suoi tempi (Spinelli scrive nella secondo metà del Settecento), vi erano ancora portici, pilastri  e colonne e che la parte in piedi “dimostra veramente la grandezza dell’opera“. Resti di muri alti più metri ed anche sagome di arcate erano visibili negli anni Cinquanta del 1900. Pensate che le pietre non siano state utilizzate? Almeno quelle degli strati superiori?

Pompei è un buon luogo da dove si può osservare la morte. Ma da Siponto si può osservare il tempo e la storia. Nei lunghi anni della crisi di un impero e di una civiltà, poche città hanno, come Siponto, vissuto cambiamenti epocali. Dagli appennini scendevano i Longobardi, dal mare i bizantini e i musulmani, dalle vie interne mercanti, pellegrini, avventurieri, e poi i guerrieri del Nord (Normanni). Luogo privilegiato di un faticoso e drammatico confronto culturale. “La grande città di Siponto”, come è chiamata, con rispetto e ammirazione, da tutti i cronisti e storici del Medioevo, ci ha lasciato tanti racconti, con cui si può costruire un grande romanzo. Non abbiamo le pietre. La nuova città ha “cannibalizzato” l’antica… In questi giorni la targa che ricordava Marina Mazzei (la più importante studiosa di Siponto Antica) è stata frantumata, e i pezzi sono stati gettati nel corso d’acqua vicino.

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