Mafia Capitana(ta). Una società pervasa da una cultura mafiosa?

CULTURA

Nessuna città porta all’ingresso un cartello: “città mafiosa”. Anni fa sono stato commissario negli esami di Stato a Palermo e una mattina mi imbattei in un corpo ammazzato, poco prima della fermata dell’autobus. Il solito lenzuolo che lo copriva, un paio di poliziotti, alcuni guardavano e andavano oltre. Non fu il solo morto in quell’estate. Visitai Corleone, Montelepre… paesi normali, anziani davanti ai bar, persone che passeggiavano, giovani… Il soggiorno palermitano fu piacevole. Persone che amavano la propria terra, impegnate in molte iniziative… Era sufficiente però toccare specifici argomenti per registrare silenzio e imbarazzo. Insomma due, tre livelli di linguaggio.

La criminalità organizzata esiste e sono tanti i morti ammazzati o scomparsi. Quattro nell’ultima strage. Quattro e non due come impietosamente dicono pure uomini di chiesa. La mafia c’è anche se non ci sono i morti! E questo lo sa bene chi esercita funzioni di governo o di rappresentanza politica a qualsiasi livello.

Possiamo parlare di cultura mafiosa diffusa? Domenico Seccia, procuratore a Lucera (ora a Fermo), ha scritto “la mafia innominabile” (quella garganica) e poi nel 2013 “la mafia sociale” (presentazione di Raffaele Cantone). Seccia si guarda bene dal dire che l’intera società foggiana è mafiosa. Racconta, però, numerosi episodi di silenzio, di mutismo, di imprenditori che prima di iniziare i lavori cercano i contatti giusti, di comitati d’affari, dove gente perbene “si relaziona” e fornisce “potere e prestigio sociale.…”.

La Capitanata è vasta e ogni comunità ha le sue storie e aspetti su cui riflettere.

Il silenzio, prima di tutto. Quello della stampa (per il poco che c’è). Le minacce a cronisti televisivi. Il silenzio nelle città. Provate a parlare di raket con i gestori di locali. A Manfredonia c’è una coltre, un velo quando si accenna a proprietà di locali, gioco d’azzardo, prestanomi, investimenti altrove (Bologna, Pescara…).

Perché conosci qualcuno?”. Questo si è sentito rispondere una signora che soggiornava a Siponto e chiedeva un ufficio cui rivolgersi…. Corruzione e clientelismo ci sono ovunque, il problema è quando superano il livello di guardia. Non c’è una società mafiosa. Ma c’è un “pendio” scivoloso. Sul giornale l’Attacco sono uscite notizie sugli affari legali dei Romito. Luoghi di ristorazione e ritrovo che danno introiti notevoli. Bene. E’ abilità dei gestori. E poi sulla partecipazione alla Agenzia del turismo. Perché no? Si tratta di locali pubblici, frequentati dai cittadini. Non è ipocrita scandalizzarsi? La questione fondamentale è costituita dalle sponsorizzazioni, dai contributi…  Una comunità non vive bene sulle voci, sui finanziamenti più o meno nascosti. Se ci sono devono essere dichiarati. Tutti. Il Consiglio comunale di Manfredonia, nel Piano di rientro, approva l’eliminazione delle spese per il Carnevale, “la cui organizzazione è prevista esclusivamente tramite interventi economici privati“. Una strana aggiunta: sembra che si sappia già che ci sono e chi sono. 

Ci sono delle domande alle quali ogni comunità deve sapere e poter rispondere. Una mappa della città e del potere. Senza guida (prima erano i partiti a guidarci). Chi comanda in città?  Quali gruppi e lobbies? Ci sono sponsor politici che non si dichiarano? Si può parlare liberamente? La mafia esiste ed è forte se si racconta sottovoce, senza farsi sentire. E il dibattito pubblico? Nei social la stragrande maggioranza è anonima… Determinate figure politiche hanno al seguito fans e supporter (progettisti, cooperative, pubblici funzionari…). Che le voci critiche siano fastidiose o irritanti è normale. Ma a notizie “cattive” si risponde con notizie “buone”. Se invece c’è un invito esplicito a non scrivere, a non parlare… allora il pendio può divenire pericoloso.

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