740 anni fa. A quando il monumento a Carlo d’Angiò? E’ lui che ha costruito Manfredonia.

CULTURA

Manfredi è l’ideatore, il visionario, ma Carlo I d’Angiò è il vero costruttore. Porta la data del 3 Novembre 1277 il contratto con Mastro Giordano di Monte S. Angelo per la costruzione di mura, castello, porto… di Manfredonia. Una data che segna la nascita della nuova ed anche della distruzione sistematica dell’antica.

Sono passati oltre 10 anni dalla vittoria su Manfredi. All’inizio Carlo il vincitore non voleva sentire parlare di Manfredonia, non la curò e poi portava quel nome odiato. Cercò di cambiarlo in “nova Sipontum”, ma non ci riuscì. Poi prevalse la ragion di stato: il porto serviva per i traffici con l’Oriente, e si ha la sensazione che il fine utilitaristico che lo muove in ogni azione muta e si appassionò e fece le cose in grande. Accetta il disegno originario di Manfredi (e questo non è un piccolo merito), la posizione del castello, il disegno del porto. Nel contratto con Mastro Giordano, preciso e meticoloso, si dice che le pietre si sarebbero ricavate dal muro troppo ampio fatto iniziare da Manfredi e poi da Siponto. Il perimetro viene quindi ristretto da Carlo, ma né lui né tanto meno Manfredi costruirono le torri.

La nuova città fu costruita utilizzando la Siponto Antica. Un impiego diffuso e sistematico: nella nuova città troviamo le pietre della vecchia. Nemmeno le chiese furono risparmiate. Il convento di S. Francesco fu costruito dopo aver demolito quello che si trovava a Siponto. Un trasferimento avvenuto in maniera massiccia, le case e gli edifici di Siponto utilizzati come materiale da costruzione. Il riuso è pratica comune in architettura e Roma antica ha fornito il materiale per costruire le grandi basiliche. A Cartagine i Romani dopo averla distrutta cosparsero il sale. A Siponto c’era quello del mare e dell’acqua salmastra delle paludi.

Il documento parla inizialmente di circa 20 carri con 36 animali da tiro, poi si aggiungono 4 più grossi con 16 buoi, poi altri 12. Al porto e per il prolungamento del molo le pietre arrivarono via mare. Un via vai ininterrotto e a Siponto un esercito di persone per rompere e demolire, e nel castello un numero imprecisato di scalpellini e taglia pietre.

Siponto già “rovinata” fornì marmi, colonne, materiale di pregio ad altre città. Venezia in particolare ne approfittò e portò via decine di colonne, allorché ebbe nella seconda metà del XV secolo da re Ferrante d’Aragona in pegno la città. A Barletta, per un monumento funebre a Baldovino, che fu imperatore in Costantinopoli, furono prelevati nel 1273 i marmi dalla casa dello zio di Manfredi.

Nel 1525 Leandro Alberti osserva: Siponto “ora giace rovinata ma pur si vedono tali vestigi di edifici, che facilmente si può dare sentenza che fosse nobile e magnifica città”. Ancora nel 1687 l’arcivescovo Muscettola ampliò il lato occidentale del palazzo arcivescovile, costruendo un piccolo pomerio con statue di pietra e colonne di marmo prese dal “rovinato” Duomo di Siponto.

Non pare che ci siano esempi così marcati di demolizione di una città, un vero cannibalismo urbano. Forse deriva da questo lo scarso amore e la scarsa cura dei manfredoniani per la loro città? Una furia predatoria. Ha resistito la Basilica, dove era custodita l’icona di Santa Maria di Siponto. Ci fu uno scontro tra i canonici che rimasero a Siponto e quelli che si erano spostati nel nuovo Duomo, ed elessero nel 1301 vescovi diversi. Il Papa annullò entrambe le elezioni e questa fu l’occasione per eliminare il privilegio dei sipontini di eleggere il proprio arcivescovo. In seguito ci fu lo spostamento di tutti canonici a Manfredonia, la chiesa di Siponto rimase chiesa metropolitana, con un canonico a custodire l’icona della Vergine.

 

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