“Non tornerò a casa fino a che tutti i morti non saranno sepolti. Passeranno gli anni, tanti anni prima che io finisca”

CULTURA

E’ bella e amabile illusione, dice Leopardi, quella degli anniversari o ricorrenze (religiose e civili, pubbliche e private, le nascite e le morti delle persone care); può sembrare un giorno come un altro e invece si crea un’attinenza particolare, un’ombra del passato risorge e ritorna in quel o in quei giorni,“onde è medicato in parte il tristo pensiero dell’annullamento di ciò che fu e sollevato il dolore di molte perdite, parendo che quelle ricorrenze facciano che ciò che è passato, e che più non torna, non sia spento né perduto del tutto”.  Questo avviene anche per i luoghi dove sono accadute cose memorabili o per se stesse o per noi. Per cui possiamo dire: “qui avvenne questo, e qui questo” e ci reputiamo “più vicini a quegli avvenimenti, che quando ci ritroviamo altrove; così quando diciamo, oggi è l’anno o tanti anni, accadde la tal cosa, questa ci pare, per così dire, più presente, o meno passata, che negli altri giorni”.

La memoria civile ha bisogno di sostegno, di segni, di riti vissuti e condivisi. Quello che non aiuta il ricordo è la monotona ripetizione, la scarsa credibilità di enti e istituzioni, il linguaggio privo di calore ed emozioni. Per questo motivo si cercano sempre i testimoni diretti: coloro che lottano contro la mafia, i sopravvissuti ai campi di sterminio… La domanda più assillante che questi ultimi si pongono è “cosa accadrà quando noi non ci saremo più?”. L’ONU, l’Unione europea, singole regioni… individuano giornate di particolari celebrazioni per problematiche sociali, ambientali, storiche. Un’offerta forse eccessiva; non c’è giorno dell’anno che non sia occupato da una o più ricorrenze. Tutto è utile, ma spesso tutto si riduce a una notizia televisiva, se le singole comunità non se ne appropriano, non le trasferiscono a livello locale, non ne fanno un momento di riflessione, di carità, di preoccupazione per il mondo. E quindi vanno bene le giornate sulla violenza, le migrazioni, l’infanzia, l’invecchiamento… ma tutto deve produrre qualche cambiamento qui. Così è giusto ricordare le donne eroine sconosciute, lo scoppio della colonna di arsenico, le vittime dell’alluvione, del mare… ma anche il decennale di un teatro, un parco (se ve ne è), gli spazi pubblici del passato (come i cinema all’aperto, magari con pannelli e foto che presentino quei luoghi come erano). Le lapidi antiche che raccontano tragedie familiari ed epidemie dimenticate si possono conservare, magari sulle mura del cimitero. Alle Tremiti c’erano le sepolture di prigionieri politici, un pezzo di storia, tutto è stato imbiancato e cancellato.

18 aprile 2015, il più grave naufragio di migranti, con 700 morti. Un anno dopo, il recupero del natante che conservava oltre 300 corpi. Il personale incaricato delle identificazioni raccontava di aver trovato in tasca ad alcuni un sacchetto con la terra del proprio paese, qualche ragazzo conservava avvolta nella plastica la pagella scolastica, e poi indirizzi, persone da salutare… Una operazione di recupero (costosa ed anche impopolare) voluta dal governo Renzi, un atto di grande civiltà.

“Non tornerò a casa fino a che i morti non saranno sepolti… Vorrei continuare questa missione fino alla fine”. L’arpa birmana è un film giapponese del 1956. Racconta la storia del soldato Mizushima, che alla fine della guerra entra in un convento e si fa affidare dal bonzo la cura dei morti insepolti. Scrive ai suoi amici che ripartono: quando vidi i corpi “preda di avvoltoi, della dimenticanza e dell’indifferenza, decisi di rimanere, perché le migliaia e migliaia di anime sapessero che una memoria d’amore le ricordava tutte, ad una ad una… Addio amici che tornate in patria, io sarò qui in Birmania… e quando avrò sete di ricordi, quando avrò nostalgia di voi suonerò la mia arpa e vi ricorderò tutti”. 

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