Miracolo a Siponto. Quando Buon giorno significa Buon giorno.

CULTURA

“Buon giorno” – “A chi la dì Buon giorno – “A lei” – “A me?” – “Sì” – “Ma lei mi conosce?” – “No”- “Ma cosa vuol dire allora con questo Buon giorno?”– “Vuol dire veramente Buon giorno” – “Ma va là”. Una delle prime scene del film “Miracolo a Milano“. Per Totò, che esce adulto dall’orfanatrofio dove è entrato bambino, questo primo incontro è l’anticipo di quello che l’attende nella città. La sua mamma, però, gli ha donato uno spirito semplice e l’immaginazione, che lui conserva e non si fa cambiare dal cinismo e dalla fretta, dai calcoli e dagli interessi.

Tra coloro che passeggiano o fanno footing a Siponto, lungo viale dei Pini, ci si saluta. E’ normale dirsi Buon giorno, con tutti. Saluto accompagnato a volte da poche frasi essenziali sul freddo, l’umidità… Con i residenti dei poderi la stessa affabilità e cortesia. Il saluto scompare nei pressi delle prime case o quando si arriva nella piazza, dove mi è scappato il saluto a una coppia e ho sentito la compagna dire: ma chi è quello? In effetti non ci conoscevamo. Un altro luogo dove il saluto viene normale è a Monticchio o nel quartiere Scaloria. Nei mesi più caldi, la mattina presto, le persone anziane sono sedute davanti alla casa a piano terra, e non solo salutano ma a volte parlano e raccontano.

Non so dare una spiegazione di queste differenze: forse è il luogo, la lontananza, l’assenza che condiziona i nostri gesti, il rapporto con gli altri. Un po’ quello che  accade quando si incontra un concittadino in un’altra città o all’estero. Nello Yunnan a Kunming (mi raccontava mio figlio) si organizzavano partite di calcio: Cina contro il resto del mondo, ed a Pechino o Shanghai è normale salutarsi con tedeschi, inglesi, americani, incontrati per caso. Lì si è europei, occidentali…

Diversi anni fa, ho incontrato in treno, nel tratto Napoli – Foggia, un uomo di una quarantina di anni, appena venne a sapere che ero di Manfredonia divenne incontenibile. Domande continue, se il cinema Impero era aperto, mi chiese di un gelataio… mi disse che la sera avrebbe fatto una passeggiata con la moglie per il corso e comprato il pesce da chi sapeva lui, la mattina dopo si sarebbe seduto all’angolo di via Campanile, e lì avrebbe salutato tutta la gente che passava. Sul tratto Foggia- Manfredonia divenne più silenzioso. Poi, alla fermata di Siponto prima di arrivare in città, si alzò di colpo, mi abbracciò: “Sono stato in carcere 5 anni. E’ meglio se scendo qui”. Non l’ho più visto.

Un mio amico di adolescenza lavorava all’aeroporto di Francoforte, veniva a Manfredonia un paio di volte l’anno quando erano vivi i genitori… Mi chiese di accompagnarlo a Foggia in auto: aveva acquistato una sessantina di videocassette, film di Totò, De Filippo… “Tu non sai, in certe sere, quanto è forte la voglia di sentire una parola in italiano, vedere un volto familiare…”.

A Torino, in un negozio di prodotti alimentari: “Dalla Puglia?… Ho sentito una parola in dialetto”. “Da Manfredonia“. “Ah, ci venivo al mare. Con gli amici qualche volta pure in bicicletta, da Troia. Arrivavamo a Siponto sfiniti, tra gli alberi vedevamo il mare, incantati! E chi se lo può scordare!”. E per parlare dimenticava di servire al banco.

 

 

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