Innovazione e lavoro, disuguaglianze e cittadinanza. E se partissimo dai bambini?

SOCIALE

Il reddito di cittadinanza? E se iniziassimo dai bambini? Child benefit è un beneficio rivolto ai figli ed è centrale per un qualsiasi programma di riduzione delle diseguaglianze, dice Atkinson, il maggiore studioso del problema. Un assegno ai figli “sostanzioso” dovrebbe essere una priorità europea. Circa 200 – 300 euro mensili potrebbero costituire una svolta per le famiglie. E’ questa la povertà più rischiosa. “Gli investimenti che facciamo oggi per i bambini svantaggiati promuovono la mobilità sociale, creano opportunità e favoriscono una società e un’economia vivaci, sane e inclusive” (James Heckman, Nobel economia 2000). Un sostegno erogato a tutti i bambini, indipendentemente dalle condizioni economiche. Unica differenza tra famiglie povere e ricche è che tale beneficio può essere soggetto a imposte come reddito. Questa misura potrebbe subito contribuire ad affrontare l’altro problema grave dell’Occidente: la natalità.

Il welfare nel passato ha avuto un ruolo importante nel ridurre le disuguaglianze: è stato lo strumento principale attraverso il quale le nostre società hanno cercato di garantire un livello minimo di risorse per tutti. Negli ultimi anni vi è stata la riduzione della protezione sociale, mentre i bisogni aumentavano anziché diminuire. Nessuna economia avanzata ha abbassato le disuguaglianze riducendo la spesa sociale. Disuguaglianze, che vanno affrontate all’interno di un sistema economico e regole, che possono e devono essere modificate, senza la pretesa di cancellare tutto o agire come se dovessimo riscrivere la storia daccapo.

“Chil benefit” non è affatto assistenzialismo. E’ una misura di giustizia sociale che mette in moto diverse cose: consumi, istruzione e formazione…  Ma lo Stato sociale non sopravvive se non ha dietro un’economia produttiva che generi profitti e introiti  in grado di finanziarlo. Al centro c’è la questione lavoro, lo sviluppo del Sud. In questi giorni si legge che cala in Capitanata l’offerta (già bassa) di lavoro rispetto allo scorso anno. “La disuguaglianza può essere un ostacolo alla crescita, ma non basta l’uguaglianza per la crescita” (Mazzucato). Le politiche ridistribuitive sono fondamentali ma altrettanto lo sono quelle del lavoro, dello sviluppo e del ruolo dello Stato. Uno Stato che, in questo momento di svolta e di radicali mutamenti sociali e tecnologici, sia in grado di intervenire direttamente nei settori strategici e con percorsi innovativi.

Servono nuove classi dirigenti locali, un nuovo modo di pensare il Sud, un nuovo linguaggio… Sviluppo e welfare, quindi, in un mondo che quotidianamente si trasforma. Un mondo nel quale le disuguaglianze non si manifestano solo nell’assenza di reddito, ma anche nei bisogni di cura, nell’istruzione e nelle conoscenze. Disuguaglianze che hanno un prezzo e rischiano di cancellare un mito delle società occidentali: quello delle pari opportunità. Il sistema è “truccato” e la domanda non può essere se la globalizzazione sia un bene o un male, ma come i governi la stanno gestendo, e quasi ovunque non si discute solo “della difficoltà di trovare lavoro, ma del fatto che gli impieghi disponibili vadano a quanti hanno qualche relazione personale” (Stiglitz, Nobel economia 2001)

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