Non solo quella materiale. C’è un’altra povertà, più subdola, sottile, pericolosa.

SOCIALE

Un uomo solo (barbone o clochard) dorme nei pressi della stazione. E’ stato segnalato immobile su una panchina da alcuni giorni. Non cammina e rifiuta il ricovero in ospedale. Il 118 non riesce a convincerlo. Poi accetta la permanenza in una struttura per anziani, solo il tempo necessario alle analisi cliniche. Viene sistemato, ripulito… E dopo? Ospite di un altro anziano, che chiede solo un contributo per la compartecipazione alle spese delle utenze e i due vivono autonomamente; l’ex “barbone” va a mangiare alla mensa dei poveri. I due si fanno compagnia e un assistente sociale segue con discrezione.

Dall’ospedale di Manfredonia uno straniero viene dimesso in carrozzella e con difficoltà di deambulazione. Non si sa che fare, dove sistemarlo, come sostenere gli interventi domiciliari (non ha una casa) e il percorso di riabilitazione. I servizi sociali incontrano tutti i soggetti che possono dare un aiuto (servizi sanitari, associazione degli immigrati, dei disabili, centro interculturale, l’Ambasciata del suo Paese). La persona in questione non sa più nulla della madre, e la madre crede che il figlio sia morto (sono passati 7 anni dall’arrivo in Italia). C’è la ricerca dell’Ambasciata, il ritrovamento della madre, il ricongiungimento. La mamma si ferma con il figlio in una casa messa a disposizione…

Sono segnalati da un vicino e aprono l’uscio di casa con diffidenza; pesano ognuno non più di 45 -50 chilogrammi, due fratelli trasandati e smagriti. Vivono in un quartiere popolare e hanno entrambi la pensione. Ma da qualche tempo hanno cominciato a non uscire, a non curarsi… Si interviene con i pasti caldi, li accettano per qualche giorno, poi li rifiutano. Si trova una nipote per fare la spesa, un’associazione per farli uscire, persone di una parrocchia che vanno a trovarli. E poi piano piano…

In difficoltà ci sono spesso persone con casa e pensione, ma con una povertà più grave: hanno perdute nel corso del tempo i legami, le relazioni. “Tu non sai che cosa vuol dire la solitudine”, mi disse un pensionato che percepiva quasi 2000 euro al mese.

Affrontare queste situazioni significa percorrere sentieri inesplorati, e le soluzioni possono essere diverse, e sono giuste quelle che rispettano la visione soggettiva di chi vive il problema. Prendiamo il caso dei pasti caldi. Che cosa c’è di più discreto e rispettoso? Ebbene, ci sono coloro che trovano questo servizio umiliante. Un vecchio viene trovato per caso in uno stato confusionale. Abita da solo e, una volta ripresosi, rifiuta ogni aiuto esterno. Di entrare in una struttura nemmeno a parlarne. Vuole stare da solo. E’ economicamente autosufficiente. Che fare? Si mette in sicurezza la cucina, si ripulisce la casa, una sorella residente in un altro comune accetta di venire a trovarlo ogni settimana (si alterna poi con la figlia), un anziano anch’egli solo accetta di andare a fare la spesa e di uscire insieme e passeggiare con lui…

Tutti esempi normali, tante famiglie si organizzano da sole. A volte (specie quando i figli lavorano fuori o non ci sono) si creano situazioni per cui si deve intervenire dall’esterno. La cura a domicilio è fondamentale per rispondere alla espansione dei bisogni e alla carenza delle risorse, e può divenire una scelta a garanzia dei diritti e della qualità della vita dei cittadini; è, però, un meccanismo fragile, facile ad incepparsi se non vi è la piena e convinta cooperazione di tutti i soggetti; ed è importante il ruolo dell’assistente sociale per promuovere relazioni, interazioni virtuose, fiducia, collaborazione. Senza paternalismo e assistenzialismo e senza imporre nessuna “buona soluzione”.

Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterShare on LinkedIn