Le torce umane di piazza S. Venceslao. Jan Palach e il vento di Praga di Serricchio

CULTURA

“Perché l’hai fatto?” “Volevo esprimere il mio dissenso su quanto sta accadendo, ridestare la gente”.“Volevi scuotere l’opinione pubblica. In che modo?”. “Dandomi fuoco” “Dandoti fuoco. Quando cesserete questi gesti?” “Quando sarà abolita la censura… Bloccare la diffusione di Zpray” “Tutti si chiedono se non basta quello che hai fatto, perché tutto il mondo lo ha visto”. “Non vogliamo essere presuntuosi… semplicemente non pensare a noi stessi… L’uomo deve lottare contro il male che riesce ad affrontare”. Un filo di voce esce faticoso e rauco da un letto bianco d’ospedale. E’ Jan Palach che parla. Si è dato fuoco il 16 gennaio del 1969 ed è morto il 19. Tre giorni di agonia e sofferenze indicibili. Il filmato si può vedere sul sito intitolato al giovane praghese.

Un altro giovane lo segue. Un mese dopo, Jan Zajic, 19 anni. Nella lettera ai cittadini e ai genitori scrive: “Nonostante la protesta di Palach, la nostra vita sta tornando sui suoi vecchi binari… Non lo faccio perché stanco della vita, ma proprio perché l’apprezzo… né sono impazzito…non permettete a 4 dittatori di calpestarvi… la mia torcia illumini il cammino verso la libertà”
Palach e gli altri chiedono l’abolizione della censura e bloccare le uscite di Zpray (notiziario filosovietico), riprendere il cammino della “primavera” precedente, quando Praga era diventata un “immenso dibattito pubblico”. Si discuteva ovunque e insieme… L’invasione di 5 mesi prima (20 agosto 1968) aveva interrotto tutto, e Palach con un gruppo di amici decide di compiere un’azione clamorosa, visto che niente si muove e tutto sembra normalizzato. Scarsa efficacia aveva avuto anche il “manifesto delle duemila parole” del 27 giugno del 1968, che dichiarava il sostegno a Dubcek e al cambiamento da lui promesso e chiedeva la libertà di stampa… la libertà di parola… L’abolizione della polizia politica e dei confidenti.
L’invasione aveva suscitato sconcerto, proteste, anche in Europa… ma tutto finì presto. Il movimento del ’68 aveva gli occhi rivolti solo all’Occidente e al Vietnam, l’Unione sovietica era criticata, ma senza alzare molto il tiro. Di Palach, del suo suicidio si parlò, ma venne presto rimosso. Più spazio avevano i bonzi buddisti che si facevano ardere in Vietnam contro la politica americana.

Il vento di Praga è l’ultima raccolta di Cristanziano Serricchio, poesie che evocano drammi e visioni: Praga piegata e umiliata, la Moldava rossa di sangue e le immagini di Mozart, Dubcek, Kafka, Jan Palach, le stragi del Novecento, le tante primavere, i naufragi, i migranti perenni… il silenzio della vecchia Europa. Un libro pieno di speranza e dolore, attraversato da un vento di giustizia e di pace. Riporto la poesia in cui Serricchio parla del suicidio di Jan.
“C’era la neve in piazza Venceslao / quel freddo gennaio / e un gruppo di giovani attorno al fuoco / non erano lì per scaldarsi / ma ad uno ad uno si estrassero a sorte, / per primo toccò a Jan, si cosparse di benzina / e divenne, la gente ammutolita, / una splendida torcia, / e nel falò improvviso / le fiamme con voce straziata / gridavano, gridavano con lui, alla libertà, all’uguaglianza, alla fratellanza. / Gridavano ai fantasmi dei sogni / appresi leggendo libri di filosofia / dei vecchi maestri, / il paese schiacciato / dal vento della sopraffazione e della follia / e aveva solo ventun anni.

Di quant’altre torce / sparse per ogni plaga / dei mille continenti, / città e paesi di cuore e di pace, / avrà bisogno il bimbo che nasce, / l’uomo con le mani senza lavoro / le madri con occhi senza più lacrime?

Da emicicli di oscuri parlamenti / ombre superbe di legislatori / avanzano compatti / nel buio tunnel dell’indifferenza”

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