Per uno scongiuro finisce al confino. Città ammutolite da sguardi estranei e orecchie indiscrete.

CULTURA

In quell’inizio di agosto del ’38 l’Arcivescovo Andrea Cesarano era fuori di sé. Cercava un prete da inviare alle Tremiti e non riusciva a trovarlo.

Era stato richiamato dal Vaticano perché in quel luogo di confino politico non si celebrava la messa nemmeno la domenica. Lo trovò infine. Che cosa era successo? Un giornalista cattolico de L’Avvenire d’Italia aveva comunicato a Roma che lì si sentivano abbandonati da Dio e dagli uomini e non c’era un prete neanche per parlare o confessarsi. Il giornalista si chiamava Egilberto Martire ed era stato confinato perché in un corteo funebre aveva fatto uno scongiuro, augurando qualcosa di poco piacevole a Mussolini. Il caso è riportato in una tesi di laurea a Foggia di un paio di anni fa, come testimonianza orale. Alle Tremiti erano in gran parte anarchici e comunisti e a Messa c’era solo qualche carabiniere e il giornalista. Una battuta, gettata lì per caso, ne era seguito il riso di quelli intorno… Lo stato totalitario era tale perché controllava le persone, i gruppi, gli assembramenti spontanei. C’erano spie e informatori. Uno sguardo estraneo e indiscreto accompagnava la vita delle persone, soprattutto nei luoghi informali. Era così nel fascismo, nella Germania nazista, negli stati “socialisti” dell’Est. E lo raccontano film, romanzi, testimonianze.

Ci si incontra e ci si mescola nelle feste e nei grandi riti collettivi, nei matrimoni, nei funerali. I bar, i mercati, le piazze contribuiscono a quel genere di conversazioni a ruota libera sulle questioni della città, di cui si nutre la democrazia. Il vantaggio di questi luoghi è che si possono vedere altre persone oltre l’orizzonte della famiglia, degli amici, dei colleghi di lavoro. Persone normali che parlano liberamente, senza paura o sospetto, in un clima di fiducia e rispetto, senza chiedere il permesso ad alcuno.

I luoghi informali possono promuovere il vivere civile senza sbandierarlo, permettono di intervenire senza restrizione, se non quella imposta dalla conversazione. In questi posti sono apprezzati l’umorismo e le forme verbali creative. Insomma la conversazione è più disinibita e teatrale, come ho visto in alcune sale di barbieri o parrucchieri, o nei piccoli negozi, dove le informazioni circolano veloci, con ironia, invito all’ottimismo; uno spaccato di abitudini e giudizi, e buon senso. Sono anche luoghi dove non si nasconde il fastidio per chi fa osservazioni inappropriate o pretende tempi di ascolto eccessivi.

Ci sono sempre stati i luoghi informali. Non era solo l’agorà, c’era pure il mercato, che Socrate preferiva. Nel Medioevo vi erano le botteghe artigiane, sedi di scherzi e beffe. Primordi del giornalismo erano le taverne e i caffè, che avevano una funzione di informazione, appuntamenti, discussioni politiche, cospirazioni, pettegolezzi. Un grande intellettuale europeo, George Steiner, in una conferenza, disse che l’identità europea nasceva da varie cose e in primo luogo dai suoi caffè: luoghi in cui sono nate le grandi filosofie, i movimenti artistici, le rivoluzioni ideologiche ed estetiche. “Il caffè” si chiamava una rivista battagliera e polemica nella Milano dell’illuminismo.

Sono tanti i luoghi informali: i cortili davanti alle scuole (i genitori aspettano i figli e si allontanano con essi sempre con i cellulari aperti), le soste degli autobus, le aree del mercato, lo spazio davanti alle chiese, piazzole, incroci… La decadenza del dibattito pubblico informale è l’aspetto più preoccupante nella vita di una città. Mai si lamenterà abbastanza lo scarso rilievo (e l’assenza di cura) che viene dato a questi posti. Passeggiare, chiacchierare, spettegolareChi ha visto chi, dove, cosa c’è di nuovo, quello che succede. Chiacchiere certo, ma sono l’anima di una comunità. Stanno scomparendo, per il traffico, i cellulari, il sospetto che qualcuno ascolti e riferisca. C’è bisogno di pendersene cura, rivendicare la parola spontanea, libera, anche trasgressiva, anche per fare scongiuri. E’ l’inizio per combattere il silenzio e l’omertà.

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