Come si diventa leghisti? Perché il successo nell’odiato Sud?

CULTURA

Dobbiamo fare una premessa, inutile forse, ma farla. La Lega non è un partito fascista. E’ qualche altra cosa.

La si può votare per tanti motivi, tutti riconducibili a sentimenti, discorsi, ragionamenti. Già dagli anni Novanta governava, con buoni risultati, molti Comuni del Nord, introducendo elementi interessanti di partecipazione popolare e di controllo dell’attività amministrativa. Quando lo dicevo qui, diversi anni fa, molti mi guardavano perplessi e insospettiti. Allora la Lega faceva paura, era tutta nordica e pura.

Però passare dalla sinistra o dal Pd a questa Lega fa nascere qualche domanda. Così come votare Lega a Pisa o in Emilia… Qualcuno risponde: “si votava senza convinzione, era come il vento, tutti erano di sinistra… Poi c’è stata la crisi, i talk show, la casta, la rivolta contro le élite… Un terremoto. Di cosa ci si meraviglia?”

Come si diventa leghisti? Ci possono essere tante spiegazioni. Un’urgenza di cambiare, provare cosa sanno fare gli altri. Nel Centro Nord buone amministrazioni sono state bocciate per un bisogno di novità, non voler vedere le stesse persone, fornite dalla stessa “ditta”. Il Sud non offre resistenze. In molti Comuni un governo senza qualità, con alternanze assenti o fittizie, ha prodotto incrostazioni, opportunismi, opacità, di cui si aspetta il “pulitore”.

Perché si vota Lega nel Sud? Ci sono analisi, articoli, ricerche… ma non danno risposte. Il voto alla Lega sembra “un atto di fede”, dato per convinzione, sui temi della sicurezza e del controllo dell’immigrazione. I leghisti dell’ultima ora mostrano irritazione se qualcuno prova a chiedere o vuole sapere. E non sopportano dare motivazioni. Tra quelli che incontro, alcuni non hanno mai affrontato un discorso in pubblico, parlano di sicurezza e legittima difesa, si vantano della loro coerenza e del parlare chiaro… E’ questa la loro identità? “Prima gli italiani”, lo slogan funziona, stabilisce priorità, mette ordine. Identità è parola e concetto da maneggiare con cura. Quello che è certo è che si sta producendo una separazione. Un filo che divide, cui non eravamo abituati. A scuola, in famiglia, in Ufficio. Una mia amica mi ha detto che ha discusso animatamente a casa sua sullo sbarco dei migranti. “In fondo, dicevo, si tratta solo di 40 persone” “E’ una questione di principio. Aiutiamoli a casa loro”. Questo rispondeva spazientito il marito. Ed era una risposta razionale, ma senza compassione.

Il bisogno di sicurezza è ancestrale, è dentro di noi, e non bisogna sottovalutarlo. In altre epoche ci si sottometteva al un signore pur di essere difesi. Si donavano i beni alle abbazie (tanti i documenti dell’Abbazia di S. Leonardo) pur di avere protezione. Quello che è certo (ed è forse positivo) è che ci sono parole, pensieri, convinzioni che non stanno più sotto la cenere ed escono fuori. Quello che è certo è che non ci sono luoghi pubblici dove si possa discutere e parlare. Esistono solo raduni. Dove ci si ritrova simili con i simili.

Si può parlare con i leghisti, ma bisogna attrezzarsi. E’ complicato discutere con persone che covano una rabbia, stimolata ad arte. Le culture, le presunte identità non sono pietre. E le pietre non sono pericolose, “fino a quando vengono lasciate dove stanno: possono far male se afferrate e scagliate contro qualcuno” (Aime). E cioè utilizzate per un nuovo comandamento: “Crea il tuo nemico”, un nemico che non può risponderti, o perché lontano o perché invisibile. “Crea il tuo nemico” e si allontana l’attenzione dai vari problemi. “Crea il tuo nemico” e si crea una realtà semplificata, cui è facile aderire, un caldo, comodo senso di appartenenza. Una tana protetta. Ma all’esterno c’è il gelo. Si può provare a cambiare il racconto? Costruire percorsi per far amare la strada, le sfide quotidiane, una sicurezza da costruire insieme?

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