La decapitazione dei capi. Così si assicura davvero il ricambio delle classi dirigenti.

CULTURA

Niente preoccupazione e paura. E’ solo un racconto di Italo Calvino.

Il giorno in cui arrivai nella capitale c’era atmosfera di festa. Nella piazza e in altri punti della città si montavano palchi, un viavai di carpentieri, manovali, prove di altoparlanti, gru che sollevavano travi di legno. “E’ festa nazionale?”, chiesi. “E’ la festa dei capi”. “I nuovi eletti, vero?” “No. È di quelli che stavano da un po’” “Ho capito, un anniversario”. “Non proprio. Periodicamente tocca a loro. E’ una cerimonia di pochi minuti e loro smettono di essere capi. E cadono”.

Vidi una scure, la cesta, una tovaglia cerata… pareva davvero una decapitazione, ma non avevo letto nulla sui giornali. “Quindi domani…”. “Quando tocca, tocca. Si fa festa. Il frutto quando è maturo si coglie. Il capo si decapita”. “Li odiavate così tanto? Erano cattivi capi?” “No. Chi l’ha detto?”  Ci fu un coro di voci e pareri. “A me piacevano”. “Anche a me”. “Se uno accetta di essere capo, sa come finisce. Sarebbe comodo. Uno dirige e come se niente fosse, smette e torna a casa. Ci starebbero tutti così a fare il capo”. “Lo farei anch’io!” “Una cosa è fare il capo pensando a quello che t’aspetta… ”. “L’autorità sugli altri è una cosa sola con il diritto che hanno gli altri di farti salire sul palco. Che autorità avrebbe un capo se non fosse circondato da questa attesa? E se non gliela si leggesse negli occhi sempre? Le istituzioni civili posano su questo doppio aspetto”. Obiettai che molti Paesi non permettono questo metodo così sanguinoso. “E’ invece vera civiltà questa”. Un vecchio aggiunse in tono lento e solenne: “Il capo comanda finché è attaccato al collo”. “Cosa volete dire?”, aggiunsero gli altri. “Se per ipotesi un capo passa il termine – il vecchio continuò – e non gli si taglia la testa, resta lì a dirigere per tutta la vita? Così andavano le cose nel tempo in cui non era chiaro che chi sceglie d’esser capo sceglie di essere decapitato. Chi aveva il potere se lo teneva stretto”. Volevo interloquire, ma non davano retta, parlavano tra loro. Poi il vecchio concluse. “Dovevano decapitare i capi per forza, con le cattive, contro la loro volontà! E non a date stabilite, ma solo quando non ne potevano proprio più! Questo succedeva prima che le cose fossero regolate, prima che i capi accettassero…”

Intervenne un giovane con gli occhiali, che aveva ascoltato tutto attentamente: “Non è vero che i capi siano costretti a subire le esecuzioni. Se diciamo questo perdiamo il senso dei nostri ordinamenti. Solo i capi possono essere decapitati, perciò non si può volere essere capi senza volere insieme il taglio della scure. Solo chi sente questa vocazione può diventare un capo, solo chi si sente già decapitato dal primo momento in cui siede in posto di comando”. Ormai gli avventori se ne erano andati tutti. Il giovane continuò: “Questo è il potere. Tutta l’autorità di cui uno gode non è che il preannuncio della lama che fischia nell’aria…”. Si tolse gli occhiali per pulirli e mi accorsi che aveva gli occhi pieni di lacrime. Pagò la birra e andò via.

L’uomo del bar si chinò verso di me: “E uno di loro. E’ stato eletto per succedere a quelli che lasciano il posto. Domani entrerà in carica. Tocca a lui. Domani assisterà all’esecuzione. Poi se ne farà una ragione. Come tutti. Hanno tante cose da fare, finché verrà il giorno della festa anche per loro”

E’ una sintesi di un racconto (La decapitazione dei capi) di Italo Calvino. In epoche lontane il meccanismo del potere si basava su uccisioni improvvise e congiure. Stragi che venivano ignorate dal popolo e giustificate con motivi spesso menzogneri. Poi è venuta la stampa, la televisione, internet… Prima le cose erano coperte da nebbia e oscurità, non si sapevano e non si vedevano, ora siamo avvolti da una fantasmagoria di luci e di colori che permettono trasformazioni e metamorfosi, e il problema di uscire di scena resta e si complica.

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