Parole e metafore di un anno. Segnali di vita e speranza? O gabbie per le nostre paure?

CULTURA

Le metafore, figure potenti che parlano del mondo, rappresentano il nostro immaginario, le speranze, le paure. In un anno immagini diverse e troppe parole.

Quelle di guerra ci hanno accompagnato nel lockdown. Chiusura, isolamento, “io resto a casa”. Poi “andrà tutto bene“. Immagine presto scolorita, come i disegni dei bambini posti davanti alle case. Il popolo rinchiuso era un popolo che stava in attesa a proteggere le retrovie e anche un po’ in trincea. C’erano i combattenti, gli eroi, in prima linea, il fronte vero e proprio, con le armi che mancavano, da cercare, da costruire. Di sottofondo parole come ritrovare il senso, rivedere, correggere, cercare l’essenziale. Restano ancora, accantonate, e ogni tanto si ripresentano.

E’ seguita la metafora della ripresa, quando si pensava che la guerra era stata vinta: ripartenza, rimbalzo, ricarburazione. Qualcuno sognava il rombo del motore futurista. Che non è mai partito. La velocità presto frenata dalla movida e non solo

La Capitanata è un territorio di mafia, e qui sul Gargano e le sue pendici prima della pandemia le parole incitavano a rimettersi in piedi. “Rialzati!” Per il vescovo dalla paura, dalla rassegnazione… dalla complicità. Eretti, e quindi un modo diverso di guardare il mondo. Insieme quella del risveglio. I magistrati a fine dicembre sono stati espliciti: Manfredonia, città addormentata. “Svegliati dalla pigrizia, riprendi in mano la tua vita…” (Pentassuglia procuratore nazionale antimafia).

Si è auspicato il superamento dell’imperativo: Rialzati, per un più coinvolgente esortativo, rialziamoci. La chiesa è parte di questa comunità ed è responsabile come altri di quanto accade. Così anche per risvegliarsi, da riflessivo a verbo attivo. Non risvegliarsi, ma risvegliare passioni gioiose. Una gioia che non nega il dramma. Da questo smarrimento un risveglio spirituale.

Quindi la parola conversione. Per il vescovo coniugata in vari aspetti. E’ una parola antica e non solo della chiesa. E’ cambiamento e trasformazione di stato. La troviamo nella scienza del ‘600. La conversione auspicata da Moscone riguarda la sfera dell’umano, educarsi a nuove scelte, cambi di direzione. Conversione sociale, istituzionale, economica, ecologica, politica, culturale, educativa… sette ambiti. “Anticorpi” per una nuova cultura, per ostacolare la formazione di due città (i privilegiati e gli scartati), i ricatti elettorali, le clientele, la corruzione. Ma attenzione, quello di Moscone non è un programma politico. E’ un messaggio etico e spirituale, da prendere assieme. Un invito a rifiutare la semplificazione e ad abbracciare la complessità.

Prevalenti le parole bonus, superbonus. Non sviluppo, lavoro, giovani, necessari per custodire la bellezza del mare, dei vicoli, dei palazzi. Non basta la pesca e il turismo. Il mare è anche il porto, e porto significa infrastrutture e commerci, quello di Manfredonia è stato uno dei principali del Mediterraneo. Crescita e giovani per curare la città e la popolazione anziana raddoppiata in pochi anni. Il dramma di questo tempo sono i borghi “intatti” e disabitati, dove le pale eoliche sono più dei residenti. Parole future saranno borghi e abitare.

Ora arrivano le nuove parole del recovery fund. Rilancio, sfide (quattro), missioni (sei), cluster, una parola che viene dall’astronomia e dall’informatica (ma dell’inglese in questo caso se ne poteva fare a meno). Si parla solo di Recobery fund e non di Next generation, eppure i nuovi provvedimenti sono rivolti alle generazioni che verranno. Una parola importante sarà progetti, che devono confluire nei cluster. Una specie di sacca dove essere raccolti. Ma da duecento pare siano già seicento.

C’è una lotta politica a chi arriva prima, a chi trova nuove parole. Ora si riaffaccia la pandemia e Fauci, il virologo americano, e altri scienziati hanno previsto la luce per la fine del 2021. L’anno del settimo centenario della morte di Dante Alighieri. Una indagine di una ventina di anni fa diceva che il nostro vocabolario per l’80% lo troviamo nella Divina Commedia. Dante termina ogni cantica con la parola stelle. E dall’Inferno, appena esce fuori dice: “E quindi uscimmo a riveder le stelle“. Forse questa espressione potrebbe accompagnarci nel prossimo anno.

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