Il ritorno del virus. Nella scuola e altrove… governare la paura e restare umani.

SOCIALE

Il Covid ha avuto un effetto sul voto. E’ stato premiato chi dava sicurezza. Ora il virus sta tornando e non contano più uomini forti, ma la responsabilità di tutti. Dentro la scuola e soprattutto fuori.

La speranza nel vaccino è ancora tenue, e pare che la copertura sia del 60 70%. “Ci metteremmo la firma se questo avvenisse”, dicono i virologi. C’è maggiore consapevolezza nella cura, si è più attrezzati, ma, nonostante il ritorno fosse previsto, si vive una fase incerta e imprevedibile. Il virus è “fantasmatico” e i fantasmi fanno paura. A tutti. E la paura deve essere arginata, rispettata, non repressa o rimossa.

Molte cose dipendono dalla scuola, vera e propria giuntura sociale. Qualunque progetto pedagogico e didattico, è progetto sociale e politico, perché porta con sé la possibilità di trasformare le relazioni, di creare pezzi di mondo migliori. Se la scuola funziona, rassicura e si prende cura gli effetti si trasmettono alle famiglie, alla società.

Si sapeva già che sarebbero saliti i contagi, ma senza le scuole aperte l’isolamento sarebbe insostenibile. Sono state assurde le polemiche prescolastiche sulle condizioni di apertura, ma strano è stato anche il silenzio sul “fare a scuola”, non provare nemmeno a inquadrare il nuovo contesto.

Normalmente nella classe ci sono quelli che vanno bene e quelli fragili, difficili, vulnerabili. C’è una differenza tra “agio e disagio”. Ora vulnerabili sono tutti, anche gli insegnanti. Una maestra della scuola materna mi dice che usa mascherina, protezione della faccia e camice, non può farsi vedere, niente carezze e contatti… come rispondere, quindi, al bisogno di sicurezza e di vicinanza dei bambini? L’argine alla paura è nelle parole, nell’ascolto. Le rassicurazioni intelligenti, le buone maniere. Condividere la quotidianità e la routine. La pedagogia delle piccole cose.

Erano superficiali coloro che dicevano, durante il lockdown, che al termine avremmo fatto la festa degli abbracci, dei baci… Bisogna convivere con il virus per tempi lunghi. Le brutte notizie vicine (il contagio di una scuola) vanno confrontate con modelli di scala più ampi. Ho visto giorni fa un film sulla storia di due donne, madri di due cooperanti in Mozambico, morti di malaria. Da quella perdita traggono il coraggio per impegnarsi anch’esse. La malaria ne uccide decine di milioni all’anno. Bisogna mettere nella giusta dimensione e ridimensionare con accortezza e prudenza. Contenere, ma in una cornice di senso. Condividere il malessere, le paure può essere liberatorio, se si tengono lontani i toni allarmistici o demagogici. Riveste importanza l’informazione. Un medico mi dice che le notizie sui contagi, i ricoveri devono essere date con sobrietà e competenza seguendo sempre i medesimi criteri, vale per l’Italia e per l’estero.

Pessimismo di intelligenza e ottimismo di volontà? Le misure restano quelle in ogni continente. Poche cose e pochi gesti. Non sono i muri e le pareti che proteggono. Ho visto foto di lezioni in riva al mare. Potrebbero aprire gli stabilimenti balneari nelle giornate di sole o nella prossima primavera. E’ l’ora dell’educazione all’aperto. Sarebbe il momento, approfittando del virus, di compiere la più grande rivoluzione nella scuola italiana, così protettiva e chiusa. In una scuola di Manfredonia si è vietato qualche anno fa di coltivare piante in piccoli vasi. Ora leggo un articolo della straordinaria utilità che hanno le piante in classe, rasserenano, permettono una maggiore concentrazione. Tempo fa al Liceo scientifico in una assemblea studentesca si parlò dell’uso della musica all’ingresso e nella ricreazione…

Le scuole chiudono e poi devono riaprire, non si può fare altrimenti. Le parrocchie, le associazioni… attendono per vedere come vanno le cose a scuola. E mi chiedo che ne è della creatività che ha portato all’educativa di strada, ai centri di aggregazione aperti…. La salvezza non viene dall’alto ma dalla responsabilità e creatività delle scuole, dei docenti, delle associazioni, degli alunni, di ciascuno di noi.

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