E Campo disse ai giovani: Fate politica, riempite le sedi dei partiti… Insieme per il futuro.

POLITICA LOCALE

“Nessuno verrà da fuori e dall’alto a ricostruire la città. Dipende da quello che facciamo noi, io potevo starmene a casa, ho scelto di non farlo. Dobbiamo fare così tutti e mettere in rete le idee migliori,…”

Chi parla è Paolo Campo, già capogruppo Pd alla Regione Puglia e attuale consigliere. “Senza la politica c’è solo barbarie”. Non si può non essere d’accordo. Però… Perché tanto ritardo, tanto silenzio, sede chiusa per anni? Deputati e consiglieri regionali vivi solo con un tweet al mese! Va bene l’appello ai giovani, ma quali sono le condizioni? Quale lo spazio politico? E’ inutile fare la storia di quello che è avvenuto… ed è triste sentire da tempo e ripetutamente: “Non abbiamo capito cosa è successo!”. Si può ricostruire sempre e lo si dovrebbe fare con propri meriti e proposte e non solo sulle insufficienze e le miserie mostrate dagli altri.

In Occidente è avvenuto un mutamento profondo: la passione politica sta solo a destra. Il centro sinistra smorza i conflitti, controlla le emozioni, spegne l’entusiasmo. Tutti i suoi esponenti (locali e non) sono “razionali”, hanno “buon senso“, si meravigliano dei sentimenti e risentimenti che le sofferenze, le paure provocano… Non rispondono, non sanno entrare in empatia, perché non sono capaci di comprendere quanto avviene.

Ora leggo un articolo di Ferdinando Menga, professore all’Università della Campania (filosofia del diritto) e a Tubinga (Germania), dove si occupa di etica e politica, partecipazione e rappresentanza. E’ direttore delle riviste Ethics & Politics ed Endoxa. Su Micromega parla di Chantal Mouffe, politologa belga che affronta in modo originale le sfide del populismo e di una “Democrazia agonistica“.

La sinistra vuole neutralizzare il conflitto e disinnescare le cariche emotive, e non vede che se vengono trattenute, soffocate con le motivazioni della “razionalità del discorso democratico”, delle buone argomentazioni, si mette a rischio la stessa vita democratica. Per due motivi. Non si opera criticamente, se non si ascoltano altri punti di vista. E poi non si fornisce uno spazio di espressione al disagio, all’insoddisfazione. Naturalmente la gente trova sfogo nel populismo di destra. La sinistra, che assume passivamente le posizioni liberali, non comprende più le dimensioni affettive, che pure tanta parte hanno avuto nella sua storia.

Alla base vi è il fatto che ogni collettività non è più fondata su principi indiscussi o verità assolute; adempie alla sua vocazione democratica se è aperta all’accoglienza degli appelli dell’altro, se è disposta ad ascoltare le sue parole. Insomma in una società liquida tante sono le “tribù”, e le alleanze non possono realizzarsi a tavolino, ma nel fuoco della lotta politica. Le dinamiche conflittuali nascono da una lotta di egemonia, dalla necessità di dare risposte a situazioni contingenti di riforme e trasformazioni della realtà. Il conflitto non può essere ritenuto un incidente di percorso o attribuito a persone poco accomodanti e responsabili.

Ma quanta conflittualità si può sopportare? Il conflitto non rischia di condurre alla paralisi del gruppo e del soggetto politico quando il dissenso si manifesta in forme iperboliche e assolutizzate? Come si possono sperimentare ipotesi nuove e far affiorare dinamiche plurali e partecipative? Come respingere il “sogno pericoloso” del consenso perfetto, di una volontà collettiva armonica e omogenea? Sono le domande di Ferdinando Menga che a Manfredonia è venuto varie volte a parlare e a discutere queste tematiche.

Solo un partito grande, articolato a vari livelli, può sperimentare una organizzazione politica aperta. A Manfredonia (e altrove nel Sud) non ha funzionato e il partito è stato incapace di disarmare interessi e lobby. “Ma potevamo gettarci gli stracci sporchi in faccia?”. E allora la lotta con i pacchetti delle tessere, la guerra per bande, le minacce… Questa la barbarie che c’è stata. Bene l’appello ai giovani. Sarà possibile una democrazia agonistica o prevarrà la solita composizione dei conflitti tra pochi? E’ possibile accettare un soggetto politico dove se ne vanno quelli che perdono (o anche se non perdono), mentre stanno sempre lì quelli che non perdono mai perché si alleano con i vincitori?

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