“Pasolini! Lui sì che ci vorrebbe oggi!” “Mah! Era inattuale prima, lo è ancor più ai giorni nostri”

CULTURA

Quarantacinque anni fa, la mattina del 2 novembre 1975, il suo corpo fu trovato assassinato sul lido di Ostia. Una morte che lo consacra nel ruolo di intellettuale contro, provocatore, fustigatore dei costumi nazionali.

Era in edicola quel giorno l’ultimo articolo: Lettera luterana a Italo Calvino. Nella notte tra il 29-30 settembre 1975 avviene il massacro del Circeo. Una storia tragica di sesso, droga e violenza che vede protagonisti i figli della Roma bene. Pasolini contesta “la lettura di classe”, fatta da Calvino. Nelle borgate accadono le stesse cose, dice. E’ tutta l’Italia che è cambiata, “un mutamento antropologico, un genocidio culturale, la cultura popolare non esiste più“. Si lamenta che queste cose lui le dice da anni, nel silenzio generale.

Che cosa ci resta di Pasolini? La sua vitalità (giocava fino a pochi giorni prima di morire a pallone con i ragazzi delle periferie), e la visione agonistica della vita e della battaglia delle idee. La sua polemica e ostilità sono dichiarate e aperte. Non sceglie mai il silenzio, né grida, ma espone le sue idee e argomenta il suo dissenso in modo fermo e mite. Ci resta la grande curiosità e capacità di sperimentare forme, generi, linguaggi diversi (il dialetto friulano, la lingua delle borgate romane, quella del cinema, del teatro, la lingua aspra del polemista). Ancora, l’imprevedibilità, come all’indomani degli scontri di Valle Giulia (1968), tra polizia e studenti, lui è a favore dei poliziotti (figli di braccianti e proletari del Sud), mentre gli altri sono i figli di papà. Prende tutto sul serio. Non ride mai, in pubblico almeno. Solo qualche foto lo ritrae sorridente, con la madre o sul set di Medea con la Callas. Ci restano il narcisismo “sincero” e le sue contraddizioni, .

Scritti corsari” e “Lettere luterane” raccolgono articoli usciti sul “Corriere della Sera” e “Il Mondo” nel 1974-75. Una requisitoria appassionata sull’Italia dopo il miracolo economico, profondamente cambiata rispetto agli anni del dopoguerra. Nel 1945 c’erano macerie materiali ora etiche e culturali. Un declino inarrestabile verso il consumismo e il conformismo, che non risparmiano intellettuali progressisti.

L’anno prima della morte, nel 1974, Pasolini torna sul progetto per un film su San Paolo. Ma le case di produzione rinunciano per i costi troppo alti.  La sceneggiatura di Pasolini trasporta l’intera vicenda nei nostri giorni (l’apostolo si muove tra Parigi, New York, Londra, Roma…), senza alterare la sostanza della sua predicazione. Perché questo interesse? Nell’attività di S. Paolo, che combatte contro il ristagno morale e il conformismo di giudei e gentili (schiavismo, imperialismo, violenza), Pasolini coglie caratteristiche simili alla sua battaglia civile e culturale contro il conformismo contemporaneo, quello borghese, che avvolge tutti: la signora fascista, l’extraparlamentare, l’intellettuale di sinistra, il markettaro. Succede spesso che un uomo borghese, cattolico, un po’ fascista… per questa ansia conformista diviene un progressista, persino comunista. Il potere consumista è più efficace di qualsiasi potere.

Ammira Lutero e rimpiange che in Italia non ci sia stata una rivoluzione luterana. Di fronte alla distruzione dell’Italia, alle macerie morali e alla barbarie… serve un capovolgimento, una rottura chiara. Ed ecco la richiesta dell’abolizione della scuola pubblica, della televisione, il processo alla Democrazia cristiana, che non ha più la vocazione a governare, ma solo al potere. Senza responsabilità. Concede dall’alto i beni superflui senza che siano assicurati quelli pubblici essenziali: cultura, scuola, ospedali… I suoi articoli sono letti, fanno discutere. Parole nuove entrano nel dibattito pubblico.

Si rivolge ai giovani, e ne prova angoscia. “Presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e dell’irraggiungibilità dei modelli proposti dalla scuola e dalla TV“. Inetti ad opporsi alla omologazione di borghesi e proletari. Più amaro il giudizio sugli adolescenti. “Non c’è gruppo di ragazzi, incontrato per strada, che non potrebbe essere un gruppo di criminali. Essi non hanno luce negli occhi, non sanno sorridere o ridere…”

Il futuro più triste e il castigo più tremendo: una società che non ha nulla da trasmettere, nulla da proporre e immaginare per i figli al di fuori di oggetti di consumo.

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