La pandemia inafferrabile. Si fissano paletti, si creano recinti, ma il virus scappa… per ora.

SOCIALE

Quali sono le conoscenze che abbiamo? E’ più pericolosa la seconda ondata della prima? Perché la maggior parte dei morti è concentrata in alcune aree?

La scienza non è il luogo della certezza, ma delle domande, e nessuna può essere dichiarata illegittima. Dalle domande nascono nuove ipotesi e ricerche. Come una città diventa epicentro della pandemia? Tutto deriva da comportamenti sbagliati, non disciplinati o c’è altro? La Capitanata nella primavera scorsa era poco toccata dal virus, al punto da richiamare l’ipotesi di una qualche immunità, derivante dalla malaria che a fine Ottocento colpiva il 70 – 80 per cento della popolazione. Oggi in Capitanata l’incidenza dei positivi è di oltre 90 su 10.000 abitanti, di gran lunga superiore a Bari. Molto più del doppio di Brindisi e Taranto. Il quadruplo di Lecce.

Nella primavera scorsa le indicazioni erano: mascherine, lavarsi le mani, distanziamento. Poi il lockdown. L’isolamento come unica certezza, “un freno d’emergenza”, per brevi periodi. “Usciremo presto e tutto tornerà come prima”, si diceva. E così è stato. Intanto si parlava di densità demografica, invecchiamento della popolazione, convivenza abitativa. Si affacciavano altri aspetti da verificate: il clima, la stagione calda, la vitamina D, l’immunità acquisita… La ricerca dei fattori per prevedere l’andamento della pandemia era ed è difficile; piccole variazioni producono risultati molto diversi ed effetti talvolta catastrofici.

Circolano sul web grafici e simulazioni. Luoghi chiusi, numeri contenuti di persone, dove uno è positivo: può infettare pochi, la metà, tutti… o nessuno.  Da cosa dipende? Dalla mascherina, la ventilazione dei locali, il tempo di permanenza, se si parla a voce bassa…  

Daegu, 2 milioni e mezzo di abitanti in Corea del Sud, dove i primi casi circolano a metà gennaio. A metà febbraio una donna infetta i suoi confratelli di una chiesa locale, durante una cerimonia e un successivo funerale. Il 22 febbraio su circa 10.000 seguaci “testati”, i positivi sono 1300. Il focolaio si ferma per la tempestività degli interventi. Prove del coro di Washington. A distanza, senza mascherina, 61 persone per oltre 2 ore cantano, uno è positivo, contagiati 53 (87%). Due sono morti. Alcuni si trovavano a 14 metri e si chiama in causa l’aerosol. I contagiati sarebbero stati la metà se avessero tenuto la mascherina, molto meno se il locale fosse stato ventilato…

Si aggiungono altre costanti: ambienti chiusi, riunioni prolungate (matrimoni, funerali, feste… dove si crea un’atmosfera di scarso autocontrollo), assenza di ventilazione… Ci sono luoghi in cui il virus è sovra o superdiffuso. Sono i luoghi che diventano “i focolai”. C’entra la casualità, la sfortuna? In una pandemia possiamo dire quello che è successo, poche cose e parziali, invece, su quello accadrà. Hanno valore tutte le regole precedenti, ma innumerevoli sono le varianti. A che serve mantenere la distanza in chiesa se poi alla comunione si creano contatti ravvicinati? Il diavolo è sottile, si dice a Monte S. Angelo.

Improvvisamente in un angolo del mondo il virus si sovradiffonde, non sappiamo sempre trovare la causa, e questo rende difficile imparare dagli altri. Così ci sembra strano il fatto che in Giappone si può andare allo stadio e non si possono gridare slogan… perché se si grida o canta si trasmette il doppio di droplet (goccioline).

Alcuni prendono il virus e non sanno come. Mi trovavo sul lungomare di Manfredonia. Giornata bella di sole. Le panchine occupate. In lontananza vedo una persona, con mascherina, che se l’abbassa e sputa, nei pressi di una panchina dove c’è una signora anziana in carrozzella con il marito. Lo “sputatore” si rimette la mascherina e si allontana velocemente. Le persone vicine si guardano tra loro. Io passo di là, scordando che le goccioline restano in aria! Più avanti 4-5 persone discutono vivacemente e ad alta voce di biciclette elettriche, con mascherine abbassate… Ho l’accortezza di allontanarmi.

La pandemia mette in crisi il rapporto lineare di causa ed effetto. E cioè una immagine di scienza. Quella positivistica, deterministica. Oggi ancora, nel mezzo della pandemia, la scienza esprime dubbi e incertezze, non nasconde di non sapere, ma proprio per questo le indicazioni date vanno seguite con accuratezza, un po’ d’immaginazione e praticando qualche slalom urbano.

Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterShare on LinkedIn