2020. E’ l’anno peggiore di sempre? No. Intanto la mattina togliamoci il pigiama.

SOCIALE

I morti sono tanti. Le conseguenze economiche sono enormi e non ce ne rendiamo ancora conto. E poi la perdita di socialità, di relazioni…

Separati dai parenti, dalla vita… è difficile accettare il prolungamento del lockdown. La politica ha promesso già molte volte la luce in fondo al tunnel, e ora nessuno ci crede più; la frase che si sente più spesso è “non ci dicono la verità“.

Incapaci di dare un senso a ciò che accade oscilliamo nella provvisorietà. Non sentimenti definiti, ma un fondo in cui si mescolano varie cose, malinconia, paure sfuggenti, una tranquillità che è attesa, rassegnazione… Un difficile equilibrio, ogni giorno diverso, con variazioni dovute a piccole cose, come mi ha detto un’amica. “Da un po’ mi aiuta parlare dai balconi con la mia vicina. Ci scambiamo impressioni, cosa preparare da mangiare… E’ strano… Ho abitato a fianco da 20 anni con persone di cui non sapevo niente“.

E’ stato un anno difficile. Il peggiore? Non dobbiamo dimenticare le malefatte del ‘900. Le guerre, l’olocausto, i gulag… L’asiatica(1957), l’influenza di Hong Kong (1968)… Che sia il peggiore bisogna chiederlo agli africani che combattono contro la malaria e altre epidemie o sono ancora terrorizzati dall’Ebola.

Il virus ci colpisce oggi, 2020; se fosse giunto 20 anni fa? Se non avessimo avuto Internet, non gli strumenti tecnologici che ci mettono in contatto… Non avremmo avuto la didattica a distanza e nemmeno lo smart working, né avremmo potuto ascoltare “My Way” di Sinatra o Presley, Gaber, Baez, Beethoven…

Chissà come giudicheranno il 2020 fra 10, 15 anni. Forse sarà ritenuto l’anno del vaccino, e lo sforzo di questo anno potrà aiutare per i successivi virus che arriveranno. L’impegno dei paesi occidentali è stato importante, ma anche altri paesi hanno mostrato di saper produrre sistemi di protezione sanitaria e vaccinale. La sfida del futuro è proprio quella di mettere insieme gli sforzi. Come auspicavano i presidenti americani Bush (2004) e Obama (2014). Erano certi di una nuova pandemia e indicavano nella cooperazione internazionale la risposta più efficace. Ma poi su questi propositi si è abbattuto il negazionismo di Trump, e la conseguente catastrofe americana di contagi e morti.

Per ora dobbiamo sforzarci di dare un senso alla nostra quotidianità e adattarci alle situazioni. L’incertezza è una condizione nuova che ci accompagnerà a lungo anche dopo il virus, e dovremo affrontare molti altri cambiamenti. Per ora, prima di tutto, dobbiamo al mattino toglierci il pigiama e respingere la tentazione di passare dal letto al divano.

Machiavelli, funzionario della repubblica fiorentina, con il ritorno dei Medici è ingiustamente torturato e confinato in un suo piccolo podere a S. Casciano. Perde lavoro e libertà. Siamo nel 1513. Anni tristi, di estrema povertà. Descrive la sua giornata all’amico Vettori: la mattina va a “uccellare”, poi sulla strada per sentire notizie dai viandanti, alla bettola… Ma, alla sera, “mi ritorno in casa, entro nel mio scrittoio, sull’uscio mi spoglio di quella veste quotidiana piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali”. Si veste decentemente per incontrare uomini antichi e grandi personaggi del passato, con i quali parla, ragiona sulle cose di governo, sul potere. Per quattro ore “dimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte“…. E scrive “Il Principe”.

Nonostante le invasioni, i mutamenti politici, una condanna ingiusta (solo nel 1520 sarà richiamato a Firenze), Machiavelli studia, ragiona, scrive. E come lui tanti altri: parlano di virtù civili, sono pronti a servire la res publica… E’ questo l’Umanesimo, il Rinascimento. Pur nelle difficoltà sanno vivere bene, si divertono, e scrivono in modo straordinario. I verbali, le relazioni, le lettere… sono affascinanti. Oggi non abbiamo più lettere, ma solo tweet.

Un mio amico buontempone, al quale ho raccontato del Machiavelli, ha voluto seguirne l’esempio. Nel lockdown si veste in modo elegante, lo stesso fanno la moglie e la figlia, e alle ore 17 bevono il the e chiacchierano. “Come se fossimo in un bistrot parigino o in piazza S. Marco a Venezia“.

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