Primo Levi nel lager. Quando Dante e il canto di Ulisse lo aiutarono a sentirsi un uomo.

CULTURA

Sono in 6 a raschiare l’interno di una cisterna interrata. Si affaccia alla botola Jean, il “Pikolo” del Kommando.

Pikolo è una carica importante, una sorta di fattorino – scritturale, addetto alla pulizia della baracca, alla consegna degli attrezzi, alla lavatura delle gamelle… Jean è un giovane alsaziano, furbo, attento, fa il suo lavoro con puntualità e precisione e si rende indispensabile agli occhi del Kapo, ma è benvoluto da tutti gli internati, perché cerca di non aggiungere ulteriore sofferenza. Conduce la sua lotta per salvarsi, ma non abusa della situazione, più volte una sua parola ha salvato qualcuno dalla frusta o altro.

Quel giorno di giugno si affaccia e sceglie Primo per andare a prendere la zuppa per l’intero Kommando. Un percorso di un chilometro, all’andata senza carico e al ritorno con la marmitta di cinquanta chili. Jean sceglie il tragitto più lungo. ”Tu es fou de marcher si vite – Sei pazzo a camminare così in fretta”. Si affrettano quando incrociano una SS o qualcuno ritenuto spia…Jean è di Strasburgo e vuole imparare l’italiano. Lui già parla il francese e il tedesco.

Insegnare l’italiano?… E quando? Anche subito. “Il canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente… Chi è Dante. Che cosa è la Commedia… Come è distribuito l’Inferno… Virgilio è la Ragione, Beatrice la Teologia…” Jean è attentissimo, Primo comincia, lentamente. “Lo maggior corno della fiamma antica…” Cerca di tradurre in francese, ma si accorge che è un disastro, Jean però segue, cerca di aiutarlo. Ulisse è tornato nella sua Itaca… Primo ha dei vuoti. Vengono a galla frammenti: la pieta del vecchio padre, né il debito amor che doveva Penelope far lieta…” Gli affetti, il padre, il figlio, la moglie Penelope non riescono a trattenerlo da un’ultima avventura. “Ma misi me per l’alto mare aperto”. Finalmente si giunge al discorso che Ulisse fa ai suoi compagni per convincerli a superare il limite, oltre le colonne d’Ercole… Ha fretta di arrivare alla fine del canto, e si stanno avvicinando alle cucine. “Considerate la vostra semenza: / Fatti non foste a viver come bruti, / Ma per seguire virtute e conoscenza”.  Jean è attentissimo e Primo ha la sensazione di sentire per la prima volta quei versi, “come uno squillo di tromba, come la voce di Dio“. Per un momento, il tempo di una scintilla misteriosa, divina… dimentica chi è e dove si trova.

Nonostante la traduzione imperfetta, nonostante i vuoti di memoria, Pikolo comprende che quel messaggio riguarda tutti in quel campo, tutti gli uomini che soffrono, e anche loro due, che osano ragionare di Dante, di Divina Commedia, lì, in quel luogo, in quel momento. Primo deve terminare il racconto di Ulisse: “I miei compagni fec’io sì acuti…”. Dimentica altre terzine, poi gli viene in mente la montagna bruna, alta… e si sforza di non pensare alle sue montagne, quelle che affioravano a sera mentre tornava in treno da Milano a Torino. E’ tardi. Sono arrivati alle cucine e deve terminare. Dalla montagna alta e bruna si sprigiona un vento, un turbine che solleva la barca, “la poppa in suso/ e la prora in giù, come altrui piacque…” Primo trattiene Jean, deve capire la fine, domani sarebbe tardi, potrebbero essere entrambi morti.

Sono nella fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta – zuppa  degli altri Kommandos. Si annunzia che la zuppa è cavoli e rape. “Kraut und Ruben”, proprio mentre Primo dice l’ultimo verso: “Infin il mare fu sopra noi rinchiuso”.

Primo Levi ricorda in una intervista che il Pikolo, Jean Samuel, fu tra i pochi a restare in vita. La sua famiglia era stata distrutta, lui si era sposato e faceva il farmacista nella provincia francese. Si erano incontrati più volte. Ricordava poco l’anno del lager. In lui prevalevano i ricordi atroci del viaggio di evacuazione nel corso del quale ha visto morire di “estenuazione” tutti i suoi amici.

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