Le attese per il dopo Pandemia. Che ne sarà degli anziani e dei non autosufficienti?

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Nel 2003, nelle prime due settimane di agosto, un’ondata di caldo intenso provocò la morte di molti anziani. Tra settemila e diecimila.

Per gran parte residenti nelle grandi città dell’Europa meridionale. Un evento che prese alla sprovvista e metteva in evidenza la fragilità di una fascia della popolazione. Negli anni successivi i servizi sociosanitari ebbero l’obbligo di predisporre misure contro l’emergenza caldo: elenco delle persone a rischio, acquisto condizionatori, servizi a domicilio…

Il Covid ha avuto un effetto devastante nelle residenze per anziani. Sono state fatte scelte in alcuni ospedali su chi mandare in terapia intensiva… In molte immagini di questo lungo anno, dietro vetri e finestre, nei corridoi di case di cura, gli anziani sono apparsi, per usare le parole crude e terribili di Bauman, come una massa di corpi superflui, inutili, costosi, fuori posto, che rientrano nella categoria di vite di scarto e rifiuti umani.

Un esercito immenso e fragile. Un fatto inedito (la prima volta nella storia dell’umanità): i paesi ricchi, l’Occidente, con un così alto numero di anziani. Una situazione che si ripercuote su tutta la società, ed è irreversibile. La vita media si avvicina in Europa ai 50 anni. In Africa è al di sotto dei 20 anni!

Manca una cultura dell’invecchiamento. La vecchiaia e la non autosufficienza sono guardate dai giovani e dagli adulti con diffidenza e lontananza, come qualcosa che non li riguarda. Si gioca con la vita e si bara. Noi non sappiamo davvero chi siamo, se ignoriamo chi saremo. Non comprendiamo la nostra condizione umana se non ci rispecchiamo in quel vecchio, in quella vecchia…

Sono una minaccia per il welfare? Non lo si può negare, se pensiamo come unica soluzione alle Case di cura… Dobbiamo percorrere altre vie, far ricorso alla nostra immaginazione creativa, ci dice Martha Nussbaum, cioè pensarci nei panni di altre persone, imparare a leggere le loro storie, comprendere le emozioni, le aspettative… L’immaginazione creativa è la terza competenza del cittadino democratico, quella che si arricchisce con la cultura umanistica, e ci aiuta a scoprire che gli anziani non sono solo destinatari di servizi sociosanitari (la longevità è assicurata dalla medicina), e non sono diversi da noi, e cioè persone desiderose di riconoscimento e rispetto.

L’autosufficienza si perde man mano e per chi sta vivendo questa fase la cosa più difficile non è tanto la perdita della salute fisica, ma non poter restare se stessi, non poter fare, in modo diverso, le cose di prima. Il vecchio è costretto a combattere una battaglia con le persone che si prendono cura di lui. Anche con i familiari. Una battaglia persa in partenza e che lo addolora; appare cocciuto, egoista, in realtà cerca di mantenere un legame con ciò che è stato. C’è una sofferenza sottile che deriva dal subire relazioni unidirezionali e asimmetriche. Non c’è spazio per ciò che pensa il vecchio. Conta solo il sapere dell’operatore, con le sue schede di valutazione che registrano la decrepitezza che avanza. Le persone sane non riescono a instaurare relazioni di reciprocità e di scambio con i loro concittadini non autosufficienti.

Abbiamo bisogno di tanta immaginazione creativa, per pensare all’assistenza domiciliare, nella quale devono collaborare tanti soggetti diversi. Oltre alle prestazioni sanitarie bisogna curare gli ambienti. Si parla di “stanza degli abbracci… per non farli morire di solitudine dopo essere sopravvissuti al Covid”. In verità si invecchia in modo diverso. Non si ha bisogno solo di abbracci o di coccole, ma si conserva fino alla fine il desiderio, la fame di sapere ciò che avviene fuori. Tutti possono ancora raccontare, ascoltare musica, letture ad alta voce…

Still Alice (libro e film): una donna si perde nell’Alzaheimer. Unica soluzione una buona casa di cura. Marito e parte dei figli sono d’accordo, essi vivono una vita professionale intensa. Non così una figlia, quella che le aveva dato più problemi, irregolare, attrice precaria. La porta ogni giorno a passeggio, le parla, racconta, le recita anche un monologo teatrale. Alla fine: “Allora, cosa provi?” “Sento amore. Parla d’amore”, sussurra Alice. “Sì, mamma. Hai indovinato in pieno”. Alice c’è ancora. Still Alice.

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