Ritorno a Kandahar e Kabul. Si spezzano sogni e speranze. E in noi si spegne la curiosità.

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Le immagini sono lì. E raccontano l’insipienza, la vergogna, la viltà, ed anche il coraggio delle donne e dei ragazzi afghani.

Non sappiamo nulla dell’Afghanistan. Un magma di lotte di potere, complicità, cinismo, corruzione, interessi, stupidità occidentale… I “grandi” speravano che l’Afghanistan resistesse qualche mese, i talebani avrebbero vinto comunque, ma almeno la transizione sarebbe stata meno traumatica. Si auguravano che si combattesse città per città e che morissero ancora migliaia di persone? Allora è andata meglio così. Quello che desta meraviglia è la velocità e l’organizzazione dei talebani. Hanno continuato in questi anni a seminare terrore. Solo nell’ultimo anno 12 giornalisti uccisi. Conoscono bene noi, dicono quello che vogliamo sentire, noi, però, non li conosciamo. Cosa contenevano gli accordi di Doba firmati da Trump? Era previsto tutto questo?

Il dibattito è confuso: credere alle parole dei talebani? Accoglienza… e per chi? Johnson parla di 20.000 persone in 5 anni! Già, i talebani aspettano… Chi sono i collaboratori o cooperatori? E quelli che restano? Che ne sarà delle studentesse che dicono: “ Il velo? Bene! Ma noi vogliamo studiare!”. Le ragazze costituiscono il 40% del mondo studentesco. Molte donne sono elette in Parlamento. Sono a capo di 2.500 aziende…

Dopo l’undici settembre 2001 c’erano varie opzioni. L’intervento e i bombardamenti hanno provocato molti morti innocenti. Ahmed Scià, fondatore nel 1747 dell’impero afghano, si recava verso la città di Amristar, per punirla dell’aiuto offerto ai ribelli. Lungo la strada un pellegrino indù fermò il sovrano: “Modera la tua vendetta. La morte di mille soldati non giustifica il sangue di un solo innocente”. Ahmed Scià fece strage di innocenti, ma non domò la rivolta.

E’ pesante quella espressione: “esportare la democrazia“. L’uso della forza deve essere provvisorio, poi occorre confronto, dialogo. Aiutare, rispettare, creare coesione, imparare reciprocamente. Ci fu dibattito allora ovunque. Io ricordo i compiti di italiano su questo problema al Liceo scientifico di Manfredonia. Il commento a un brano di Francesco De Sanctis sulla libertà, che presuppone, scritto dopo l’unificazione italiana, un complesso di idee, costumi, abitudini, che non si imparano d’un tratto. Questo non vuol dire tirar fuori la teoria della maturità o meno di un popolo. “Un popolo è sempre maturo al vivere libero. La libertà si impara con la libertà”. Si discusse molto sulla donna. In quegli anni ebbe grande risonanza il film “Ritorno a Kandahar”. Il viaggio di una rifugiata afghana dal Canada al suo paese dopo aver ricevuto una lettera della sorella handicappata che si sarebbe suicidata per protesta contro le violenze dei talebani sulle donne. Sul burqa si insinuava un dubbio. E’ un incubo, una gabbia, ma, dicevano alcune liceali, anche l’occidente ha il suo burqa, il lifting, il corpo feticcio, modelli imposti dai media… Numerosi i dibattiti in quel periodo su Islam, Corano, Pace, organizzati dall’associazione Aim (Associazione interetnica migrantes, nata nel 1989 a Manfredonia), con la partecipazione di numerosi musulmani che qui vivevano.

Dobbiamo imparare la lezione? E quale? L’Italia e l’Europa non hanno una politica estera. Facciamo fatica a svegliarci dalla protezione americana. Gli italiani non sono stati “brava gente” nelle guerre passate, ma nelle missioni di pace si distinguono per l’approccio rispettoso alle realtà locali e la collaborazione con le Ong. In questi giorni emergono racconti e amicizie di donne italiane che si sono poste al fianco di donne afghane. Ci sono le storie di Barbara Schiavulli sull’amore della musica a Kabul. C’è un racconto di Marina Corradi, inviata anni fa in Afghanistan, che racconta la gioia delle bambine che andavano a scuola e l’incontro con l’interprete che conosceva Dante a memoria. Io ho conosciuto a Londra un ragazzo kurdo, che appena seppe che ero italiano: “Ah, Dante… Libertà va cercando…”. E chiamò, eccitato e felice, dal retrobottega del forno il padre, lo zio… Abbiamo una storia culturale che altri conoscono e apprezzano, e dovremmo sostenere di più i nostri istituti di cultura all’estero.

Noi siamo allungati nel Mediterraneo e non ne abbiamo consapevolezza. Non ci sono più inviati speciali, sono i freelance quelli che rischiano di più. Ma la responsabilità è nostra, abbiamo perso curiosità e voglia di sapere. Siamo avvelenati da anni di populismo che ha contagiato tutti. Trasmissioni televisive inutili, esperti e politici che non studiano, non conoscono le lingue…

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