Scuola. Un nuovo inizio e i genitori cercano l’insegnante perfetto. Ma esiste?

CULTURA

La scuola è il luogo delle interazioni sociali continue, di genitori, insegnanti, alunni… E bisogna sforzarsi di starci bene, non si può essere annoiati e ripetitivi.

Ogni anno è una novità, perché cambiano gli alunni, crescono, si trasformano… a maggior ragione in questo momento. Far tornare la scuola quello che era prima? Certamente. Ma come era prima? Qualcuno si è meravigliato che gli alunni volessero tornare in classe, a casa si annoiavano; i genitori avvertivano la tristezza per la mancanza di amici, coetanei, del “bistrattato” gruppo dei pari. Una meraviglia nata dal non sapere che cosa si fa in classe. Ci sono le interrogazioni, si vivono le paure dei compiti, ci sono commenti malevoli, si sviluppano tecniche di sopravvivenza, ci si aiuta, si ride, si praticano buone maniere. Non c’è ora di lezione senza un momento di ilarità.

Se la scuola funziona, lavora… anche le famiglie sono serene e rassicurate. La giornata della maggior parte delle famiglie inizia con il rito dell’andare a scuola e segue i ritmi scolastici. L’attività didattica, i progetti pedagogici hanno un risvolto sociale e politico, perché portano con sé la possibilità di una trasformazione della società, di creare un mondo migliore. I docenti ed educatori sanno che le relazioni con gli alunni non si fermano a scuola, ma entrano nella famiglia, nella comunità. La sensibilità ambientale, il rispetto e la parità di genere, il dialogo, le buone maniere nascono e si alimentano nella pratica scolastica quotidiana.

Esiste l’insegnante perfetto? Tagore poneva continuamente domande ai suoi studenti. Poi scambiava i ruoli, inducendo i bambini a “estraniarsi dal proprio punto di vista e ad assumere quello di un altro”. Insomma è primario l’obiettivo di formare un cittadino attivo, critico, curioso, “capace di resistere alla pressione dell’autorità e dei pari”. Nulla di eccezionale – racconta un insegnante di Liverpool – “Facciamo quello che diciamo. Nessuno è lasciato indietro. Ci sono regole e correzioni, la scuola è animata da una attenzione continua. E questo si vede dalla gioia che i bambini manifestano nell’imparare”. Un insegnante canadese aggiunge: “Pazienza e tenacia. Creare con i colleghi la magia di forme creative combinatorie. Tentativi ed errori. In classe: a volte lezione frontale, a volte attività sperimentale, altre di verifica, altre di relax o pausa meditativa. La classe a volte un laboratorio, un paese, un tribunale, un parlamento, un salotto dove si conversa. Qualche volta è solo classe“.

Sono docenti interpellati per una indagine sui metodi più efficaci. Ci si accorge che sulle buone pratiche di insegnamento non c’è niente di nuovo sotto il sole. Sono docenti che a New York, Liverpool, Calcutta, Napoli, Palermo, Bari, in classi difficili e in quartieri degradati, raggiungono buoni risultati. Come? Un’insegnante newyorkese lo spiega così: “Mi metto in un punto della classe, da dove riesco a osservare meglio i volti degli alunni. Faccio domande semplici su un libro, una storia… I bambini alzano la mano, ma poi l’abbassano per dare tempo ad altri bambini… Mi sposto, mi avvicino a chi parla… Tutto qui…“. E si meraviglia che il suo metodo sia presentato come un esempio positivo.

La classe è l’unico luogo – oasi per ragazzi che hanno vita difficile. Spazio sicuro dove possano parlare con un adulto delle loro paure e preoccupazioni. “Le scuole sono tra i pochi luoghi pubblici rimasti che funzionano come comunità… luogo dove ragazzi che provengono da classi diverse si incontrano su un terreno comune”. Dicono alcune insegnanti di Manfredonia. E non pare si possa insegnare ad insegnare, né forse servono corsi specifici, importante è avere a cuore quello che si fa. Amare ciò che si fa. E’ utile tra i docenti dialogare insieme, creare piattaforme digitali comuni, “gruppi di mutuo aiuto” e discutere, discutere… E non avere paura.

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