Le elezioni dell’incertezza. Candidati sconosciuti e parole da amare e vivere.

POLITICA LOCALE

A Manfredonia, uno dei comuni più importanti della Capitanata, si vota dopo due anni di commissariamento per mafia, con una situazione finanziaria difficile, tra polemiche dichiarate e taciute… Elezioni incerte e di svolta.

Peccato non si pratichi più quel costume romano dove chi aspirava a una carica pubblica doveva indossare una toga “candida”. La modalità di mettere sui manifesti le foto di tutti i candidati è positiva e ho riscontrato che ne conosco pochi o nessuno. Parecchi sono i giovani e per molti è la prima volta. Ci sono tante incognite e alcuni candidati “timidi” non sanno da dove cominciare. Scarso il materiale cartaceo in giro, ma penso che sul web ci sia molto movimento. Funzionano gli incontri tematici per servizi e attività, strade e quartieri… e credo pure che non sia “stonato” distribuire volantini e depliant nelle strade, nei mercati da parte dei singoli candidati. Spero che i cittadini non si infastidiscano, anzi penso che tutti debbano apprezzare coloro che si mettono in gioco. Non è facile di questi tempi. Candidarsi è una esperienza importante. Spero di incontrare candidati coraggiosi e allegri. Non le facce “serie e scure” di coloro che sembrano portare addosso il peso del mondo.

Ci sono parole significative da amare e che si traducono in comportamenti da praticare in campagna elettorale e dopo. Sono cinque verbi.

Abitare. Levi diceva che la strada era la casa degli italiani. Ora c’è la tana e le strade sono vuote di bambini e piene di auto. Anni fa ci fu un questionario rivolto ai genitori con figli piccoli (nido, scuola dell’infanzia…). Risposero le mamme e chiesero percorsi sicuri casa scuola, strade libere, parchi… Un risultato sorprendente. Nel film “L’oro di Napoli” c’è un episodio interessante. Un duca con il suo macchinone passava per un vicolo due volte al giorno, i residenti non ne potevano più, volevano fare un’azione di forza, ma poi “Don Ersilio” li convinse a un atto semplice e scanzonato: un pernacchio corale, “di testa e di petto”. Ebbe il suo effetto nel film.

Ascoltare. Le parole curano. Siamo tutti convinti di dover dare risposte, e troviamo strano, inutile l’ascolto passivo, invece è terapeutico per tutti. Le persone vogliono parlare. Devi ascoltare e partecipare con lo sguardo, il volto. Vai sempre in giro con un block – notes. Scrivi, segna. Vedrai che dopo, quelle annotazioni ti saranno utili, da eletto o non eletto.

Camminare. E’ bene fare giri elettorali a piedi, ma non con uno stuolo di amiche o amici. Camminare per la città è un esercizio fisico e civico. Se molte persone importanti (sindaci e consiglieri, docenti e direttori, impiegati e artisti, vescovi e preti…) camminassero e dessero l’esempio, si ridurrebbe fortemente il traffico (un grave problema per questa città), e ogni luogo sarebbe raggiungibile in quindici minuti. Il massimo della sostenibilità. A piedi si conosce la città, che muta nelle diverse ore, giorni della settimana, e sorprende sempre. Sabato scorso, passando davanti a un negozio di articoli di nautica, chiesi se esistevano ancora le vernici Veneziani, legate stranamente a Italo Svevo, e mi ritrovo con il commerciante (Guglielmi), che aveva conosciuto gli eredi di quella famiglia, a chiacchierare piacevolmente e a lungo di Svevo, Joyce, Trieste.

Immaginare. Una virtù civile. Mettersi nei panni. L’unione ciechi organizzò una cena al buio completo, per i vedenti. Provare che cosa significa per un cieco compiere un semplice atto, quello del mangiare. Immaginare cosa ha significato per una famiglia numerosa passare il lockdown in una casa di 50 mq. O per una famiglia con un figlio con disagio mentale, o con il capofamiglia senza lavoro…

Dubitare. Bisogna dire sempre la verità? Sarebbe auspicabile. Non devi, però, preoccuparti di apparire come quello che non sbaglia mai. Devi dimostrare, invece, che sei capace di correggerti. Nella politica (e nella scienza) l’errore può essere un’occasione di approfondimento. Un leader che ammette di aver sbagliato dà alla comunità una sicurezza psicologica in più, perché parlare degli errori commessi permette di ripensare i processi che li hanno causati.

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