Il volo di Icaro. Il sogno di vedere dall’alto una città rinata e ricostruita molte volte .

CULTURA

Architetti e progettisti, strateghi ed esploratori… hanno sempre sognato di guardare un luogo, una città dall’alto.

J. S. Bradford, ufficiale della Raf, impegnato tra il 1943 e il 1945 per servizi di ricognizione e informazione dell’aviazione alleata, ha individuato “volando” sul Tavoliere molti siti archeologici e villaggi neolitici. Preziose sono le fotografie aeree, molte tracce discontinue sul terreno, viste dall’alto, appaiono più chiare e lineari. Il Tavoliere presentava allora condizioni favorevoli: impaludamento delle zone costiere, estese aree a pascolo o coltivate a cerali con arature poco profonde… A partire dagli anni cinquanta la lottizzazione dei poderi dell’Ente Riforma e nuove coltivazioni, canali e opere irrigue non hanno permesso più di avere risultati apprezzabili.

La grande pianura che va dal Golfo verso l’interno della Capitanata si può osservare da molti punti del Gargano. Guardare Manfredonia dal Belvedere della “Montagna” o dai sentieri che vanno verso Pulsano è un’esperienza molto interessante. Si apre uno spettacolo unico, si vede il bello e il brutto di una città “accresciuta” e quasi in perenne espansione. Osservare dall’alto uno spazio urbano è definirne i limiti, ciò che è città e ciò che non lo è. I limiti erano fino all’Ottocento le mura e poi agglomerati periferici compatti, intorno c’erano gli orti, alberi da frutta, vigneti persino… Si praticava quotidianamente il chilometro zero, di cui tanto si parla oggi. Poi la città di pietra si è estesa e dispersa, frutto di proiezioni demografiche sovrastimate. Se si esplora la città lungo le strade di accesso si ha la conferma di assenza di margini: da ovunque si entra vi sono attività artigianali sparpagliate, abitazioni abusive, depositi e magazzini, piccoli allevamenti e orti, capanne e capannoni…

Ogni città si presenta ai suoi abitanti e anche all’esterno con una immagine, un filtro che seleziona e orienta, crea aspettative e rimpianti. Le città del Sud sono spesso raccontate più da quelli che si trovano fuori e le immagini ricorrenti sono quelle del passato: le sale cinematografiche estive, le spiagge libere, i momenti di festa, i sapori, le abitudini… Echi che affiorano anche nei programmi elettorali di questi giorni. Si parla di “una città dalle mille risorse, unica, bellissima… rovinata, violentata…” Da qui il lamento, toni nostalgici, soluzioni salvifiche. E una proiezione nel futuro priva di energia ed entusiasmo.

La Storia di Manfredonia, coordinata dal prof. Saverio Russo, docente all’Università di Foggia, in 4 volumi è uscita nel 2010. Crocevia di popoli e culture: Longobardi e Bizantini, Normanni e Svevi, tra le diocesi più antiche, una significativa presenza ebraica, un porto vivace (nel 1400 il più importante del Mediterraneo), con attività e maestranze specializzate… una città che si è adattata alle situazioni. Un’opera per tutti? Certo. Sicuramente per le scuole, per tutti coloro che aspirano a governarla e dirigerla. Un’opera che in campagna elettorale i candidati (e non solo) avrebbero dovuto leggere (almeno i due tomi del Novecento), per capire l’oggi. Lo sviluppo urbanistico, le frazioni, le industrie, il turismo, i luoghi di cultura e formazione, la chiesa… Tante le facce: la città che appare, quella della ricchezza e dell’ostentazione, e quella fragile, povera. La città sommersa: “C’è clientelismo… vi è una crescita della criminalità, degradazione dello spirito civico…” Ma vi è anche l’impegno per “nuove forme di cittadinanza“, vi è la capacità di elaborare le proprie storie e “accettare le sfide”. Una lettura che riserva molte sorprese.

Manfredonia più volte a un bivio e più volte rinata. Distrutta dai Normanni, impaludata e spostata da Manfredi in un luogo più salubre (dove molti cittadini si erano già trasferiti), la sconfitta del re fondatore, l’ostilità iniziale degli Angioini, le lotte di potere e la cacciata degli ultimi ebrei nel 1500, il sacco dei Turchi, la decadenza del porto, l’emarginazione nel Sette Ottocento… E poi la grande ripresa nel Novecento. Una città che ha imparato dai fallimenti. Nell’opera coordinata da Russo e in altre opere emergono fragilità e mediocrità delle classi dirigenti (non solo ceto politico), ma anche la carica vitale di una popolazione che non si lascia determinare e appiattire su un unico monotono racconto.

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