La mafia e il circuito della paura. La Capitanata senza futuro e tante altre cose. Eppure…

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La proposta di unire Molise e Capitanata, la Moldaunia, qualche anno fa… segno di un malessere. Ora in qualche comune ritorna la tentazione. La Puglia è lunga e Bari è lontana. La popolazione passa da 700.000 abitanti a 600.000 in un quindicennio. Centomila in meno. Invecchiata. Fasce estese di anziani senza sostegno di figli e nipoti, andati via.

La Capitanata piena di villaggi del Neolitico, granaio nell’antichità e Medio Evo, florida e lussureggiante nell’era sveva, pascolo per le pecore e per arricchire i sovrani spagnoli, la Capitanata triste e malarica, la speranza posta nelle bonifiche, il sogno della California del Sud… e ora la Capitanata mafiosa.

Tutta colpa della mafia? Le mafie (dicono gli addetti ai lavori) cercano di entrare nelle amministrazioni pubbliche, in lobbie politiche e imprenditoriali… tendono a creare opportunità, occasioni lecite (all’apparenza) per coloro che operano nelle professioni, imprenditoria… Senza chiedere nulla (inizialmente). Ci si meraviglia che, nello scioglimento per mafia di tanti comuni, l’apparato burocratico non sia stato coinvolto. Non c’è corruzione! Ci sono però dei meccanismi (favoriti dalla politica), che tendono a non creare responsabilità. L’antica competizione tra il politico e il dirigente (apparato tecnico) ha lasciato il posto all’opacità dei centri decisionali, che tendono a nascondersi, ritirarsi nell’ombra (non apparire e non essere responsabili). Da qui una finta e “studiata” superficialità, mancati controlli… Uno stile politico – amministrativo fatto di silenzi ed omissioni. Dall’altra parte ci sono attori criminali che mostrano una tendenza contraria, essere presenti, mostrarsi pronti ad agire. Pratiche di intimidazione che funzionano, perché si percepiscono che possono essere messe in atto. La mafia vuole far vedere che fa paura.

La sofferenza di un territorio. Tutti i centri e le città hanno perso centinaia o migliaia di residenti, le famiglie anziane con i figli “fuori” sono la maggioranza. C’è uno sfilacciamento dei legami familiari, condominiali, sociali non sostituiti da organizzazioni un tempo presenti: sindacati, centri anziani, associazionismo… E il Covid ha rimarcato fortemente questa tendenza. Di fronte alle incertezze, alle difficoltà, non si sa a chi rivolgersi… Si ha la sensazione che si deve chiedere favori, protezioni… Non si conosce bene il ruolo della polizia municipale, delle Forze dell’ordine… Non si sa quali sono i diritti.

Il nodo è Foggia. Un capoluogo non capoluogo. Lì è concentrato tutto. Istituzioni culturali, economiche, biblioteca, musei, Conservatorio, Università, Consorzi, Sanità… Tutto ha valenza provinciale, è della Capitanata, non foggiana! Eppure dovunque ti muovi (motorizzazione civile, code per ospedale, Tribunale, pratiche varie…) si registra una cappa pesante, foggiana appunto. Si sono registrate nel corso del tempo incrostazioni strette, amicali, se non clientelari. Un’assuefazione generale che ha raggiunto vette esilaranti nel recente consiglio comunale sciolto per mafia. Selezione classe dirigente? Controllo civico degli eletti? Non esageriamo. Voto clientelare? Voto di scambio? Semplicemente “Estese-promesse-tese-ad-ottenere-consenso”. Consenso ottenuto… tanto non si sa mai!

L’unica idea venuta da Foggia è il Gino Lisa! Occorre prendere atto di una profonda crisi culturale, politica, progettuale, sanitaria… Abbiamo smarrito il senso del bene comune, della critica, dell’ironia… il ruolo della politica è pensare alla comunità. Costruirla o ricostruirla è l’obiettivo fondamentale del governo di una città.

L’intervento dello Stato. Abbiamo una “provincia” di nominati. Si muove e distribuisce fondi. Senza dibattito pubblico. Senza priorità. Occorre ripristinare un’amministrazione provinciale autorevole. O almeno un centro decisionale che metta in contatto le varie realtà positive. E qualcosa si muove, nei paesi, nelle città, nella stessa Foggia. Assunzione di giovani che lavorino a raccogliere, far emergere quello che c’è, a livello economico, sociale, culturale… Centinaia di giovani che operino in ogni città, in ogni centro. Una specie di new deal. Fare della fiera di Foggia il luogo di confronto: la situazione dell’agricoltura, della viabilità, terzo settore, progetti del Pnrr… Creare banche dati. Ricominciare a sentirsi un unico territorio. Parole? certo. Utopie? certo. Sempre meglio che invocare una generica rivoluzione etica e politica! E’ quello che chiamiamo dibattito pubblico. La possibilità di esprimersi senza cautele e paure in un clima di accoglienza e benevolenza… così si alimenta il capitale sociale, si costruiscono reti di relazioni, mutuo riconoscimento. Proprio il new deal di Roosevelt.

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