La scomparsa degli intellettuali. Niente paura si sono autoestinti.

CULTURA

Ci dovrebbero far conoscere la realtà, il mondo, scoprire i fatti, offrire spunti di riflessione, analisi. Invece mostrano solo sdegno, rabbia… Seguono il popolo dei like.

Ci riferiamo agli intellettuali che partecipano a dibattiti, talk show… Una categoria ibrida di politologi, giornalisti, con qualche master alle spalle, scrittori di instant book… Una categoria tutta occidentale che si ritiene libera da pregiudizi, razionale… al contrario è litigiosa, partigiana… Questi “nuovi” intellettuali non sono più legati a un partito, a una ideologia, ma hanno un legame con una comunità di pensiero orientata allo stesso modo. Conoscono i social, si preoccupano per l’influenza sugli adolescenti… Ma ne sono essi stessi influenzati.

Il dibattito è alterato, polarizzato, non mira alla mediazione, al compromesso, ma solo a condividere con il proprio pubblico l’umiliazione dell’avversario. Un dibattitto dai toni esasperati anche quando si affrontano problematiche che dovrebbero devono essere discusse con pragmatismo.

Talvolta a questi dibattiti partecipano scienziati, storici… Essi però non riescono a far valere il ragionamento “classico”. “Ho espresso il mio parere da cittadino e ho ragionato sulla base di conoscenze ‘per causas’, come è della buona tradizione occidentale…”, dice il fisico Marco Rovelli. Ma è entrato anch’egli nella lista nera, quella dei “putiniani” inconsapevoli.

Ormai il confronto, il “sistema di relazioni politiche” si è alterato, irrigidito. C’è un’omologazione che permea le classi dirigenti dei paesi occidentali. Si abbeverano alle stesse fonti, hanno gli stessi punti di riferimento, commettono gli stessi errori di analisi e prospettive. I problemi sono inquadrati con criteri morali rigidi e interessati e questo impedisce ogni possibilità di confronto. Tutti in Italia e Occidente parlano di politica tramite tweet. Borrell tramite tweet dice che l’Ucraina deve resistere fino all’ultimo uomo, tramite tweet difende la Pelosi che visita Taiwan.

Un processo che dura da qualche tempo e riguarda non solo la guerra ma altre emergenze del nostro tempo: Clima, diseguaglianze, migrazioni… Forse noi umani siamo portati a condividere sentimenti e relazioni in piccoli gruppi (Leopardi). Forse è per questo che le élite quando parlano all’Umanità, sentono il bisogno di avere intorno una tribù, un pubblico già schierato.

Non si esprimono punti di vista originali? Non ci sono più pensatori politici? Ci sono ma non emergono. Dopo lo scoppio della Pandemia abbiamo scoperto che c’erano libri, documentari, ricerche… Abbiamo scoperto molte cose. Idee che circolavano da anni e che non erano mai entrate nei circuiti mediatici, sui grandi giornali, nelle agende dei governi. Allora ci furono tanti buoni propositi riguardanti l’informazione, una nuova politica…

Tutto dimenticato. Ho sempre pensato che “classe dirigente” significasse apertura, pensiero critico, responsabilità. Invece le élite sopravvalutano le loro conoscenze e presumono che le loro decisioni (prese in gruppi ristretti) abbiano un valore assoluto.

Una democrazia liberale per funzionare bene non può fare a meno di una pubblica opinione. I grandi teorici pensavano che l’istruzione pubblica avrebbe risolto i problemi, reso tutti capaci di leggere e partecipare con consapevolezza al dibattito pubblico. Questo sarebbe bastato per non essere carne da macello, come nella prima e seconda guerra mondiale. Non è così. Abbiano oggi ampie conoscenze rispetto al passato, ma il dibattito non è mai stato così superficiale. (Mingardi). A livello locale è ancora peggio. Si procede con comunicati, tweet… e polemiche. Il dibattito politico è zero.

Tradimento degli intellettuali? Un discorso vecchio. Non sono né peggiori e né migliori. La prima guerra mondiale è stata sostenuta da molti scrittori, intellettuali… Anche il fascismo… Solo 11 docenti universitari hanno rifiutato il giuramento al regime. E’ il dibattito pubblico che stabilisce la qualità delle idee. Un dibattito dove i detentori di conoscenze scientifiche sentano l’obbligo di partecipano in virtù di ciò che sanno. Un dibattito che colga le tendenze pericolose nell’esaltazione per tutto ciò che è eroico, rispetto alla vita quotidiana, alla routine… Un dibattito che affronti la categoria dell’utile (il grano, l’inflazione…) e non permetta che sia utilizzata solo dai populisti. Abbiamo bisogno di intellettuali capaci di rivolgersi alla gente comune con rispetto, spiegando la complessità delle cose del mondo.

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