Il matrimonio nel ghetto. E un piccolo annuncio del premio “Nobel” Szymborska.

SOCIALE

Un matrimonio al ghetto dei Bulgari. Lei una ragazzi di 12 anni e lui un giovane di 15 anni. Ne parla con orgoglio e soddisfazione un parente. “Ma sono bambini!”- direbbe meravigliato qualcuno. Altrove, ma non nei ghetti, nelle campagne del foggiano. Forse non sono andati a scuola, non sanno leggere. Ma conoscono molto del mondo e della vita da quell’angolo di mondo: i rapporti nel clan, le gerarchie, le furbizie quotidiane per sopravvivere. Cosa dire e non dire, cosa vedere e cosa non vedere.

Un matrimonio, quindi. Perché meravigliarsi? Lì c’è una comunità che vive, e allora ci si sposa, ci sono figli che nascono, donne che abortiscono…

Abbiamo preparato una bella casa. Ci hanno regalato le pedane, quelle in legno con cui si caricano i pomodori e gli ortaggi. Una ventina di pedane. Abbiamo fatto il pavimento e le pareti,  che abbiamo ricoperto con sacchi di plastica e cartone. E’ venuta una bella casa”. Non mi ha detto se il matrimonio è stato celebrato, se c’è stato qualche rito. Il pranzo è stato ricco e tradizionale e poi grandi bevute. Grappa in quantità. Mi azzardo a dire del viaggio di nozze. Non capisce. Poi ride. “Il mondo per noi è piccolo. Sono andati a Foggia. E poi sono giovani e appena c’è il guadagno, andranno in Bulgaria”.

Sono vicende normali e chi si meraviglia mostra di non avere immaginazione. Quelli che chiamiamo ghetti sono una forma di insediamento, dove accade quello che accade in ogni piccola comunità. Alcuni ghetti sono più popolosi di alcuni paesini dei Mondi Dauni o dell’Irpinia o del Molise.

I ghetti sono una decina. Tutti, esponenti istituzionali, sindacati, politici, giornali… hanno gridato per la chiusura del cosiddetto “gran ghetto”: uno sgombero politico, ormai non più rinviabile. Senza un piano, una alternativa, ignorando gli inviti a muoversi con prudenza. E si è visto come è andata a finire.

Per il ghetto dei Bulgari finalmente qualcosa si muove. L’ambasciata bulgara ha comunicato quanto avvenuto in Francia, dove per un analogo gruppo Rom vi è stata una sistemazione nelle roulotte. Lo stesso si potrebbe fare qui. Con l’impegno che devono pagare le utenze, i bambini devono andare a scuola e non possono rifiutare l’intervento dei servizi sociali o eventuali proposte di lavoro. Il sindaco di Foggia ha trasmesso la proposta al dirigente della Regione Puglia.

La presenza degli immigrati potrebbe essere vista in modo diverso. Il Tavoliere è stato sempre abitato. Centinaia erano i villaggi nel Neolitico. Nel Medioevo numerose erano le chiese rurali e i casali. Scomparvero con la Dogana delle pecore. E poi il tentativo del Fascismo e dell’Ente di Riforma che ha privilegiato i poderi sparsi. Popolare questo territorio sarebbe interessante e utile socialmente ed economicamente.

Si possono avanzare altre proposte più durature. La Provincia di Foggia ha messo all’asta le case cantoniere. Poco più di dieci. Pare che l’asta sia andata deserta. Ogni casa cantoniera ha in assegnazione un ettaro. In gran parte questo terreno è stato occupato dai confinanti. Sono sparse in tutto il Tavoliere. Si potrebbero montare intorno alle case cantoniere tende o casette di legno… Ci vuole una politica che abbia idee e coraggio. Finora il governo di questo fenomeno complesso è stato un fallimento, sarebbe ora di pensare alla nomina di un commissario, come nelle zone terremotate.

Wislawa Szymborska (premio Nobel della letteratura) lancia un piccolo annuncio: “Chiunque sappia dove sia finita / la compassione (immaginazione del cuore) / – si faccia avanti! Si faccia avanti! / Lo canti a voce spiegata / e danzi come un folle / gioendo sotto l’esile betulla, / sempre pronta al pianto”. Già dove è finita l’immaginazione del cuore (la compassione) e anche quella della mente?

 

Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterShare on LinkedIn