Giubileo della Misericordia. Sono le “beatitudini” i nuovi comandamenti.

SOCIALE

Il Giubileo della Misericordia chiude. E’ passato senza grossi eventi, un po’ in sordina. Per paura degli attacchi dell’Isis o perché questo è lo stile del Papa? Perché poi fare un giubileo a tema, se ogni giubileo è perdono, è misericordia? Un incontro pubblico, a cura del Centro Studi Serricchio, ha discusso sulla storia e significato del Giubileo (relatore padre Mario Villani del Convento di S. Matteo). Ogni Papa si distingue per le parole che usa. E se papa Francesco ha voluto la parola Misericordia è perché è una parola centrale per lui, che sa come le parole si usurano, consumano, perdono forza e vigore. “Misericordia” racchiude altre parole, una famiglia di parole: cura, empatia, abbraccio, consolazione, rispetto. E poi un’idea di bene e di male.

Per papa Francesco il male è l’indifferenza, l’individualismo, la cultura della corruzione, il sottrarsi al contributo che ognuno deve dare per costruire il bene. E il bene? E’ curare le ferite, avere speranza, attesa, pazienza. Guardare le cose, le persone, le situazioni per come sono e per come possono divenire. “Tutti ci troviamo di fronte ogni giorno alla scelta tra l’essere samaritani o indifferenti viaggiatori che si tengono alla larga. Ormai le nostre molteplici maschere cadono, e così le nostre etichette e i nostri travestimenti. È l’ora della verità, ci chineremo per curarci le ferite? Ci chineremo per farci carico l’uno dell’altro? Questa è la sfida del presente…”

Papa Francesco ha elaborato  una “scienza della carezza“, una “teologia del contatto fisico”. Sempre le mani al centro. La tenerezza è data dalle mani che accarezzano, la guarigione dalle mani che toccano la piaga, la creazione dalle mani che plasmano, la fiducia dalle mani che accompagnano.

Le parole di papa Francesco sono anche espresse in un libro “La misericordia è una carezza”. Il filo narrativo è la parabola del Buon samaritano, dove vi è tutto il percorso di cura: non allontanare lo sguardo, medicare le ferite, sapere usare le parole per lenire il dolore, rimettere in piedi le persone, avere il tempo, costruire una rete intorno.…

La misericordia è una carezza. Come un carezza è l’incontro. Quale quello che avviene nelle scuole, che devono essere “una casa, un nido dove donne e uomini, bambini e bambine possano sviluppare la capacità di condividere le proprie esperienze, di radicarsi nel proprio territorio e nella propria storia personale e collettiva e, a loro volta, trovino gli strumenti e i mezzi per sviluppare la loro intelligenza… la scuola può essere un luogo nel quale si mettono radici che consentano la crescita delle persone”. Insomma una dimora, un rifugio per “rifondare i legami sociali”, per sviluppare l’etica della solidarietà e dare vita a una cultura dell’incontro.

Nel corso della serata sono state lette alcune poesie di Cristanziano Serriccchio, anch’egli  parla di mani amiche e di una cultura dell’incontro, in particolare nei versi rivolti ai ragazzi del Roncalli.

Non so da quando ci si incontra /con mani amiche, forse dall’eco/spaurita delle caverne/ o al vento del bene e del male / sotto cieli densi di caligine…”. Da allora, dall’epoca delle caverne le mani amiche si sono aperte alla carezza e alla cura e hanno permesso di far germogliare parole e hanno fatto vibrare pensieri e desideri… Senza dimenticare che la violenza è sempre in agguato.

Nel libro sopra citato papa Bergoglio dice che “Le beatitudini sono i nuovi comandamenti”. C’erano quelli del Vecchio Testamento, che comandavano e dicevano che cosa bisognava fare e non fare. Si proibivano anche i desideri.

Le beatitudini, quindi, i nuovi comandamenti. Non è una rivoluzione? I miti, gli affamati e assetati di giustizia, i misericordiosi, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia, i poveri, quelli che piangono…  Tutti insieme appassionatamente per una nuova umanità.

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