Di mamme ce n’è una, sola! Ed è proprio sola!

SOCIALE

Questi lunghi anni di crisi lasceranno tanti segni e mutamenti. Nel nostro territorio si è posto attenzione alle fabbriche che chiudono, al lavoro che viene a mancare e meno ai figli cui si è rinunciato e a quei giovani che non si sono iscritti all’Università, a quelli che sono residenti fuori e a quelli che risiedono ancora qui ma vivono fuori e forse non torneranno più.

La provincia di Foggia registra una diminuzione negli ultimi anni di circa 30.000 abitanti. Il dato è ancor più significativo, in quanto tra le province pugliesi solo Brindisi registra un lieve decremento, mentre tutte le altre province crescono sensibilmente.

Nel corso delle ultime elezioni comunali, un candidato originario della Capitanata ha notato con sorpresa che i residenti a Bologna nati a Manfredonia sono 247 (escludendo quelli registrati a S. Giovanni Rotondo). Sono quasi tutti nati tra il il 1960 e 1990.  Sono, inoltre, cittadini bolognesi oltre 4000 persone nate in provincia di Foggia. Parliamo solo di Bologna!

La denatalità e i giovani (in particolare laureati) che partono sono questioni importanti, in cui si condensano le gravi problematiche del Sud: paura del futuro, un tessuto sociale disgregato che non si riesce a ricomporre in termini nuovi, uno sviluppo  a livello economico e sociale che non c’è, l’invecchiamento della popolazione.

In Italia la media è di 1,39 figli per donna (dicono la più bassa al mondo), ma al nord è 1,45, al centro 1,39, al Sud 1,31. Chi ha 2 figli rinuncia al terzo e chi ha 1 rinuncia al secondo. Nel 2014 i neonati sono stati al livello minimo dall’Unità d’Italia a oggi.

In dieci anni la popolazione dell’Ambito territoriale di Manfredonia della fascia 0 – 14 anni è passata 14.000 unità a meno di 12.000; mentre la fascia oltre i 65 anni da 12.500 a 15.000 unità. I nati sono passati a Manfredonia da circa 650 a meno di 500.

Il calo dei bambini è percepito facilmente da chiunque, nelle feste, nei matrimoni… Il vescovo Vailati il 24 maggio 1987 al papa Giovanni Paolo II che si affacciava su Piazza Duomo diceva: Santità vede quanti bambini in questa piazza, questa città ama i bambini. Una frase che nessun vescovo potrebbe oggi ripetere. Non ce ne sono nelle strade e la città sembra progettata solo per le auto.

Le analisi si ripetono monotone da molti anni. Nel 2.000 il Censis parlava del “Suicidio dell’itala gente” e alcune proiezioni dell’Onu mettevano in guardia su un calo ormai irreversibile della popolazione italiana. Se non ci saranno cambiamenti, la popolazione meridionale si ridurrà in un cinquantennio al 27,3% di quella nazionale rispetto all’attuale 34,4%. Una perdita di oltre 3 milioni di abitanti.

Non c’è più il fascino, la cultura della maternità. Nella maternità le donne sono sole. Incide  il lavoro atipico e l’occupazione femminile e anche la migrazione dei giovani. Ma è venuta meno la solidarietà delle famiglie di origine e si è verificata l’interruzione della catena ereditaria di un patrimonio di pratiche e modalità di cura. La ricerca di indipendenza della donna si traduce in solitudine. Il compagno collabora poco o niente. Alla solitudine risponde la rete web e le mamme che scrivono sui blog sono molte. Il modello di cura relegato nella dimensione personale e familiare, non è più praticabile; il lavoro domestico delle donne, percepito come dovuto e naturale, è insufficiente e produce sofferenza e conflitti (spesso non esplicitati), anche di genere. C’è bisogno di un’ampia riflessione nella città perché la cura diventi una priorità sociale e politica.  Una riflessione che deve essere sostenuta e promossa  dai servizi sociali, consultori, pediatri e operatori sanitari, scuole, associazioni…  Non si tratta solo di asilo nido o di sostegno economico alla nascita di un figlio, ma di pensare a una città che metta al centro spazi pubblici che rispondano ai bisogni dei più fragili, protezione della “pedonalità”, accoglienza di bambini e anziani, economia di prossimità… un cambiamento profondo verso una cultura, una civiltà della cura.

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