A cento anni dalla Rivoluzione. “Per fare la frittata bisogna rompere le uova”.

CULTURA

Se Lenin fosse vissuto più a lungo non sarebbe avvenuto quello avvenne con Stalin. Lenin aveva scatti di genialità che i burocrati successivi non ebbero. Ma la verità invece è che la Rivoluzione non doveva svilupparsi in un paese arretrato come la Russia. Lenin e i bolscevichi erano una esigua minoranza, che con una audacia straordinaria presero il potere. Il colpo di Stato si trasforma in una rivoluzione che investe ogni sfera: proprietà privata, diritto, arte, scienza. Uso della violenza ammessa e dichiarata. Una rivoluzione anticipata da scrittori, artisti, che rappresentavano il vecchio mondo in degrado e l’imminenza di una catastrofe; ma si affacciava anche la promessa di una vita nuova con forze vive capaci di spazzare il vecchio e affermare un “nuovo Rinascimento” nella vita e nell’arte (cinema, musica, teatro…).

Durò poco. “Tutto il potere ai Soviet” divenne presto uno slogan vuoto. Nasce il Partito unico, l’unanimismo, il regime totalitario, con polizia segreta, gulag, menzogne, processi farsa… “Dobbiamo trascinarci dietro 90 milioni di persone sui cento che abitano nella Russia sovietica. I rimanenti vanno annientati” (Zinov’ev). L’urgenza di creare l’uomo nuovo (espressione ripresa da S. Paolo) porta a giustificare tutto. “Per fare una frittata bisogna rompere le uova” (Stalin). Ma le uova saranno milioni e la frittata non sarà commestibile. Un percorso difficile da raccontare, pieno di insidie, valgono le esperienze vissute, la tragicità di quelle vite che avevano creduto nella rivoluzione e che scompaiono nelle nebbie della Siberia. Vite ricche di sorprese, esiti drammatici, confessioni, suicidi, vendette.

E’ l’evento che ha avuto maggiori ripercussioni in tutti i paesi, ha influenzato la storia, la vita politica, la lotta di liberazione dei popoli. Non solo il popolo russo, ma l’Europa intera ha sofferto le conseguenze. I partiti comunisti hanno spaccato le sinistre in Europa, quelle socialdemocratiche che si stavano faticosamente affermando. Il nuovo stato rivoluzionario si sentiva assediato dalle potenze borghesi (David contro Golia ) e vi era la convinzione che solo la diffusione della rivoluzione in Europa avrebbe potuto garantire la sopravvivenza. Il modello bolscevico venne considerato l’unico possibile e negli anni venti c’era la presunzione che nel giro di un anno l’Europa sarebbe divenuta comunista. Ovunque scissioni, scorciatoie (“fare come in Russia”), espulsioni, lotte interne. Ma gli operai europei non seguirono gli appelli rivoluzionari.

Nel dopoguerra il mito dell’URSS è rafforzato dalla vittoria sul nazismo. In Italia nasce il partito di massa, che amministra molte città importanti e lo fa anche bene. Il “Partito di lotta e di governo” svolge un grande lavoro di alfabetizzazione civica e politica.

Fu una scuola importante. Nella sede del PCI di Manfredonia non si giocava a carte ed era quotidiana la lettura collettiva del giornale: uno leggeva ed un gruppetto ascoltava. Persone che non mancavano ai comizi, facevano le sottoscrizioni nelle strade… Erano la forza del PCI, erano i militanti. Molte anche le ingenuità: discussioni accese se bisognava tifare Italia o uno dei paesi dell’Est, la soddisfazione quando alle Olimpiadi vincevano i russi, l’orgoglio del volo di Gagarin…

Di quella tradizione ricordo qui una figura minore. Un nome dimenticato, come milioni, Vincenzo Caracciolo. Era segretario amministrativo. Lui apriva la sede, la curava, teneva il registro, umile e preciso… Non interveniva mai nelle riunioni. Non chiedeva mai nulla e né prendeva una lira. Abitava in periferia. Una volta per caso lo incrociai nei pressi di casa sua. Sapevo che aveva una sorella con un ritardo mentale, che assisteva con affetto e non voleva fosse portata in “istituto”. Fu imbarazzato nel vedermi, ma mi fece entrare: un unico vano a pianoterra. Due brande semplici, un tavolino, un paio di sedie, una panca, una piccola credenza con poche pentole e qualche piatto. E una libreria con i volumi che acquistava al festival dell’Unità. Ero in servizio militare quando morì. Mi dissero che al funerale c’erano una decina di persone.

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