Un’emergenza civile e politica: la lingua pubblica è ostile! Forse le 5 W possono aiutarci.

CULTURA

Lo è stato nel passato, lo è oggi e lo sarà nel futuro: la disuguaglianza nel possesso dei linguaggi e dei saperi è altrettanto grave della disuguaglianza economica.  L’uso di un linguaggio comprensibile a tutti è un problema fondamentale e una buona comunicazione consolida e potenzia la vita democratica. Rendere comprensibili delibere, avvisi pubblici, normative è una condizione fondamentale per assicurare a tutti i cittadini uguali opportunità di partecipazione, godimento di beni comuni, rispetto delle leggi.

Il testo seguente è uscito qualche giorno fa dal Comune di Manfredonia. “La legge della Regione Puglia n. 40 del 28.12.2015 ha disposto che a decorrere dal periodo di imposta 2016 il soggetto Irpef che non può beneficiare nel periodo di imposta, per il livello di reddito e la relativa imposta calcolata su base familiare, delle detrazioni all’addizionale regionale Irpef per le famiglie con più di tre figli a carico, usufruisce di misure di sostegno economico diretto equivalente alle detrazioni spettanti. L’ambito territoriale di Manfredonia… erogherà agli aventi diritto, previsti dall’art. 3 della L. R. n. 40 del 2015, le misure di sostegno economico riguardanti le detrazioni all’addizionale regionale Irpef per carichi di famiglia”. Un avviso pubblico, nel quale, intorno a poco più di 15 righe vi sono ben 8 richiami legislativi completi (comma, numero della legge, data…).

Non è il solo: quotidianamente appaiono testi che costituiscono un’offesa all’intelligenza delle persone e che avrebbero bisogno di un traduttore in lingua corrente.

Sono trascorsi 23 anni da quando la Presidenza del Consiglio ha proposto un “Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche”. Proposte e materiale di studio, frasi da correggere, esempi di atti pubblici riscritti… Molte altre proposte sono uscite da allora ad opera dell’Accademia della Crusca, agenzie di comunicazione, istituti universitari, singoli studiosi. Tutte indicavano come priorità politica e democratica il cambiamento della lingua della burocrazia.

Circola un manifesto sul web “Per una comunicazione non ostile”: un invito a rispettare le persone, a scegliere con cura le parole, che sono un ponte tra noi e gli altri. Peccato che “ostili” (e rivolti solo agli addetti ai lavori) siano proprio i documenti amministrativi, che dovrebbero essere il ponte per eccellenza tra chi amministra e la cittadinanza.

Qualcuno ha proposto di valutare gli atti sulla base delle 5 W del giornalismo anglosassone. E cioè le iniziali di Who – What – When – Where – Why e precisamente Chi – Cosa – Quando – Dove – Perché. Ogni atto deve essere riconoscibile e interpretabile da parte dei cittadini, mostrando il soggetto che lo adotta, l’oggetto, la decisione presa, i tempi e i modi di applicazione, le motivazioni.

Ma perché vi è questa tendenza all’oscurità della lingua? Perché lo è in particolare quella dei dirigenti? “Il pubblico funzionario non è un cittadino al servizio dei cittadini: è Dio che sul monte Oreb dà le leggi a Mosè. O quanto meno Mosè che detta i comandamenti al popolo eletto” (Tullio De Mauro).  Occuparsi oggi del linguaggio pubblico non è un lusso da intellettuali, ma è la questione politica prioritaria (Carofiglio). Il linguaggio oscuro è infatti (per pigrizia, vanità nell’uso del gergo, arroganza ed esercizio del potere) fortemente contagioso.  Già Leopardi all’inizio dell’Ottocento denunciava la trascuratezza, l’approssimazione nell’uso delle parole, la mancanza di “aggiustatezza” della scrittura. Ogni testo scritto va aggiustato, e cioè reso pertinente, adattato, chiaro, comprensibile. I funzionari pubblici aggiustano gli atti, ma per infarcirli di riferimenti legislativi, e renderli, come il testo sopra citato, incomprensibili, al punto da far venire il sospetto che si vuole più nascondere che chiarire e comunicare.

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