Un “impregnarsi” reciproco. Come le gambe di uno sgabello.

CULTURA

C’era folla in piazza Italia, la domenica mattina del 7 ottobre, uomini con un saio viola nei pressi di un “catafalco” con un grande quadro, altra gente intorno, la banda… Ero appena sceso dall’hotel e mi trovavo a Perugia per partecipare a una tavola rotonda sul tema della giustizia per le generazioni future. Cercavo di capire di cosa si trattasse quando la banda iniziò a suonare (era l’inno peruviano), poi seguì l’inno italiano, i presenti li cantavano entrambi. Una festa religiosa, una processione nelle strade del Centro, con il quadro del “Senor de Los Milagros”, dipinto da uno schiavo negro nel 1651 sul muro di un magazzino dove gli schiavi si riunivano. La parete con il crocifisso rimase in piedi dopo il terremoto che distrusse Lima nel 1687, e su quel luogo fu edificata la chiesa delle Nazarene. A fine mese sarà festa grande nella parrocchia S. Sisto di Perugia, che per prima ha accolto la comunità peruviana. Poche le parole del vicesindaco: una comunità operosa e coesa, che vive il legame con due culture e partecipa in modo consapevole e attivo alla vita cittadina, una comunità che ora è alla seconda generazione e “i nostri figli vanno a scuola con i vostri figli”. Un momento commovente, i due inni cantati insieme, molti con le lacrime agli occhi, il quadro portato in processione con passo lento da una ventina di uomini dai lineamenti inconfondibili visti in tanti film e documentari.

Ricordavo in quel momento quello che diceva un prete scalabriniano sugli emigranti italiani in Canada. Lui, missionario in quel Paese per una decina di anni, sapeva tutto dei santi protettori e delle tradizioni religiose dei paesi di Capitanata: a Toronto e in altri grossi centri del Nord America ogni comunità (anche se piccola) celebra le proprie feste patronali, rispettando rigorosamente la tradizione. Molti anni fa il comitato per la festa patronale di Manfredonia inviò una cartolina con la richiesta di un contributo a tutti coloro che erano partiti per l’estero. Una donna di 50 anni inviò 10 dollari, era nata in America e non era mai venuta in Italia; scriveva che il padre, partito ragazzo all’inizio del Novecento, non era più ritornato e sempre parlava della festa della “Madonna di Siponto”. Solo in 5 anni tra il 1902 e il 1907 partirono 1334 persone, su una popolazione di 11.000 abitanti!

Si resta sospesi tra due culture e rinunciare alla memoria equivale a mettere a repentaglio la propria identità. Nell’emigrazione c’è una esigenza di reciprocità. “Più vi impregnerete della cultura del paese che vi ha accolto, più potrete impregnarlo della vostra; più un immigrato sentirà rispettata la propria cultura di origine, più si aprirà alla cultura del paese che lo ha accolto. Due ‘equazioni’ che formulo insieme, perché sono inseparabili, come le gambe di uno sgabello(Maalouf)

Pensavo mentre mi recavo al Complesso S. Pietro dove si tenevano gli incontri di “Umbrialibri” a quelle parole: “i nostri figli vanno a scuola con i vostri figli”. Non c’erano i ragazzi alla Processione. Forse si sentivano più italiani che peruviani… Pensavo a quanti sono gli alunni con entrambi i genitori stranieri. Alla necessità di far sentire intorno ad essi uno spirito di accoglienza e di comune cittadinanza, come si avvertiva quella mattina. E invece: Prima gli italiani, si proclama. E pensavo che avrei cominciato il mio intervento, partendo da quello che avevo visto, dalle migrazioni e dalle integrazioni possibili.

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