La malaria. Ne ha uccisi più della peste e di tutte le epidemie. Compreso il coronavirus.

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“In Puglia non si è ammalati che di malaria, non si muore che di polmonite”. Un detto che chiarisce bene la situazione igienico-sanitaria di allora.

La teoria che la contrazione dell’infezione avvenisse per via aerea fu a lungo una convinzione della cultura medica per tutto l’Ottocento, anche se un medico romano Lancisi già nel 1720 aveva intuito che erano le zanzare il veicolo della trasmissione della malaria. Solo nel 1890 si ebbe la certezza che il ciclo biologico dei parassiti si sviluppava nel sangue dell’uomo e che le zanzare erano il veicolo di trasmissione del protozoo. Nel 1898 ci fu l’individuazione del tipo di zanzara, l’anofele, che trasportava il parassita dalla persona malata alla sana. Si ebbe negli stessi anni la conferma che il chinino, somministrato tempestivamente prima della riproduzione, riusciva ad arrestare gli attacchi febbrili. Non, quindi, l’aria mefitica di cui parlava Manicone, ma un agente infettivo, difficile da scoprire e combattere.

Una scoperta che viene da lontano: dal Seicento e soprattutto dal Settecento, quando lo sguardo e la curiosità degli scienziati si orienta verso “l’infinitamente piccolo”. Notevole fu il contributo di studiosi e ricercatori italiani (Redi, Vallisneri, Spallanzani). Sino al tempo di Francesco Redi (1628 – 1698) si era creduto che gli insetti non nascessero per fecondazione, ma per generazione spontanea originata dalla decomposizione della materia organica. La scienza scopre un nuovo mondo, invisibile e nascosto, popolato di protozoi, microbi, virus…Nasce la microbiologia (Pasteur).

Malaria viene dal volgare medievale mal’aire. Una malattia antica. Di essa morirono Dante, Raffaello, Caravaggio, Coppi. Nell’Ottocento nelle aree malariche vi erano Centri pubblici di studio della malattia e ci fu una specializzazione medica: la malariologia. Il Tavoliere con le sue paludi e il latifondo a pascolo era un’area profondamente segnata dalla malaria. L’anofele proliferava in acque stagnanti e calde. Erano colpiti nelle forme più virulente soprattutto i lavoratori agricoli migranti, nelle stagioni della mietitura e della trebbiatura, dai centri abitati delle alture vicine alle acquitrinose pianure. Per i malariologi era chiaro il nesso tra malaria, degrado del territorio e condizioni di vita e di lavoro.

Le statistiche in provincia di Foggia ci danno cifre terribili: In un decennio (1880 – 1890) morirono 13.110 persone. Nel 1892 a Manfredonia il 57% degli abitanti risultò contagiato. A Margherita di Savoia il 72%. Nel 1899 fu colpita gran parte della popolazione provinciale e a Trinitapoli si ammalò il 90%. (Lea D’antone). All’inizio del nuovo secolo la malaria sembrava essere meno devastante. Ebbe, però, un’impennata negli anni della prima guerra mondiale. Dal 1916 al 1918 in provincia di Foggia si ammalarono 65.000 persone e 3.000 furono i morti. Un incremento spiegabile con il fatto che le condizioni alimentari e di vita erano divenute più scadenti. Di nuovo una diminuzione e poi la forte impennata negli anni dal 1928 al 1934: quasi 165.000 i casi denunciati.

Ambulatori della Croce Rossa vennero istituiti a Manfredonia, Trinitapoli, Lesina e Biccari. Il chinino veniva distribuito anche da enti di beneficienza e postazioni sanitarie nelle masserie. Sulla strada per Foggia a pochi chilometri da Manfredonia prestava servizio un sottufficiale della Sanità addetto alla somministrazione del chinino. L’edificio è diroccato e cadente. Non c’è nessun cartello, né qui né altrove. Dopo la recrudescenza dei primi anni Trenta si ebbe finalmente un progressivo calo per merito delle mutate condizioni igieniche, l’arrivo dell’acqua potabile, dell’azione preventiva di comuni e province. Ma nel 1936 era ancora molto forte, se tutti gli abitanti da poco insediati nel Borgo “La Serpe” (poi Borgo Mezzanone), erano ammalati in forma più o meno grave di malaria.

La definitiva sconfitta si ebbe nel secondo dopoguerra con il Ddt americano e l’impegno della Rockefeller Foundation. Ne ha uccisi (e ne uccide) più di tutte le epidemie, compreso il Corona virus. Ancora oggi è, dopo la tubercolosi, la seconda causa di morte nel mondo. Si ammalano annualmente oltre 200 milioni di persone e ne muoiono 435.000 (Dati ufficiali 2017).

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