L’emergenza cambia la scuola. Rimarrà ancora inclusiva e democratica?

CULTURA

Si prospettano scelte “storiche”, importanti (telelavoro, sanità, scuola…) senza alcun dibattito pubblico.

Viviamo un periodo di incertezza, di paura per un virus che circola nel mondo, e soprattutto della “seconda ondata”. Il riferimento alla “spagnola” (50 milioni di morti) è però eccessivo, puntare sulla paura per indurre a buone pratiche è sempre pericoloso. C’è bisogno di fiducia e di conoscenze. Quando parliamo di scuola serve una visione della complessità e anche la capacità di affrontare i singoli aspetti in modo pragmatico, correggendo, sperimentando. Si tratta di un settore fondamentale nella vita e nello sviluppo del Paese, dove eravamo già in forte ritardo su vari fronti.

Si tratta di compiere un’operazione verità su molte questioni. La Didattica a distanza: parliamo di qualcosa che non è stato organicamente pensato e strutturato. Un’emergenza (io resto a casa), imprevista; si è riempito un vuoto, mantenuto un collegamento, parecchi alunni non sono riusciti a usufruirne. Un esperimento che va esaminato con cura. Tra i docenti emergono pareri discordanti, pare che nella scuola primaria le cose siano andate meglio, ma ci sono discipline e metodologie che sono state sacrificate: le sperimentazioni scientifiche, i laboratori, la musica… La tecnologia è una risorsa, ma la scuola, la classe è altro.

Si rende necessaria la riduzione degli alunni per classe e la ricerca di nuovi spazi. Credo che la situazione sia diversificata, con parti del Paese cresciute ed altre con un arretramento demografico, per cui ci sono città (nel Sud e nelle aree interne e montane) con ampia disponibilità di nuove aule. Una situazione che si è già verificata in altri periodi storici.

Manfredonia è un caso emblematico: una crescita enorme nel dopoguerra, (la maggiore di Puglia), anche per via dell’immigrazione da paesi vicini. La popolazione scolastica cresciuta a dismisura, scuole superiori di primo e secondo grado formatesi quasi tutte negli anni cinquanta e sessanta… doppi e tripli turni, aule ricavate nei sottoscala, palestre, aule magne assenti… A pensarci ora vengono i brividi. Eppure si è andati avanti, anche con buoni risultati. In quegli anni si sperimentarono molte cose, si discuteva di scuola nelle strade e sui pianerottoli. C’era un clima positivo di fare, costruire dal basso… Poi una politica di opere pubbliche (tra cui le scuole) e la città è stata dotata di edifici ampi, efficienti. La popolazione scolastica è ora diminuita… Si tratta di ridistribuire la popolazione scolastica, affrontare il nodo delle diverse competenze (Comune, Provincia, Stato)…

Non c’è solo l’aula. C’è l’andare a scuola. Si prevede davanti alle scuole un traffico enorme e una pessima qualità dell’aria. Impensabile l’uso di biciclette e monopattini. Andare a piedi? Ma non siamo nemmeno riusciti a promuovere “Piedibus”, una modalità semplice, arenatasi di fronte a piccole difficoltà. Gli alunni, poi, non vivono solo in classe, vanno a bagno, nei corridoi, consumano la colazione… C’è bisogno di personale, non solo docente, ma figure ausiliarie che vanno formate…

Quello che non si può accettare è che si continui a usare affermazioni generiche e fuorvianti: gruppi omogenei, uso del teatro, giardini…  In ogni classe ci sono almeno 4 o 5 alunni che hanno particolari problematiche: disabili, stranieri, ragazzi con famiglie difficili… Solo un’esigua minoranza ha il sostegno. La bellezza della scuola inclusiva è questa. A teatro si deve andare, ma per fare altro e non le normali attività didattiche. Uscire dalla scuola si può e si deve, ma l’educazione all’aperto è altra cosa e non si può improvvisare. Nella nostra scuola non si riesce nemmeno a organizzare una visita esterna (in una scuola dell’infanzia i genitori hanno chiesto, prima di portare gli alunni nel cortile, di ricoprire gli alberi di spugna o gomma piuma).

Oggi la situazione non è più difficile di altri periodi. Ci sono purtroppo dirigenti che dichiarano di voler consegnare le chiavi al prefetto! Quello che manca è un dibattito pubblico, una voglia di misurarsi con le difficoltà ed esplorare vie possibili. Infine la questione dei genitori. Sono fastidiosi, irritanti? In ogni caso è necessario, utile, urgente coinvolgerli davvero nell’organizzazione didattica e della scuola.

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