Infanzia chiusa tra le mura. Dimenticata dai Decreti, ha resistito bene.

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Lockdown. Una tempesta sotterranea. Un caos calmo. Una catastrofe controllata. Paura, panico… O solamente tanto rumore per molto poco?

Ha portato in superficie molte cose: amore per la vita, adattamento, egoismi, generosità. Creatività, confusione. Persone che si credevano forti  e invece mostravano debolezze e paure. Ha messo tutti a nudo e ha permesso di guardare chi stava vicino. Ha costretto a un ritmo diverso, meno veloce, senza vie di fuga. E i bambini? Quelli del nido o della scuola dell’infanzia, irrequieti, iperattivi? Fragili, senza potersi muovere, senza poter scendere nemmeno in strada? Per ogni situazione e per tutti c’era posto nei Decreti governativi, fuorché per loro. Eppure, se c’è una fascia che è stata meglio, ha resistito di più, questa è quella dei bambini da 1 a 5 anni.

La felicità? E’ nella routine. E la routine, quell’insieme di piccole azioni quotidiane, poco amata e apprezzata, è improvvisamente “scomparsa”. Molti di questi bambini avevano ritmi da adulti, alzarsi, fare colazione, vestirsi da soli e velocemente, uscire di casa,… E la sera, andare a letto presto… Ritmi che gli adulti trovano faticosi. Questi bambini hanno conquistato la felicità. Finalmente la mamma ha tempo per loro, e loro sono felici. Molti di essi vanno al nido e si ammalano anche di meno. Nessuna meraviglia: è normale star bene. quando non si è costretti a uscire presto con ogni tempo, respirare lo smog…

Alla scuola dell’infanzia gli insegnanti svolgono un lavoro notevole, mettendo insieme bambini e genitori e i genitori tra di loro. Il cervello in questo periodo cresce. Ed è la fase più importante. Da queste evidenze scientifiche viene l’appello dell’Unione Europea a moltiplicare i “nidi”. Permettono a chi ha i genitori poco attivi di avere uguali opportunità. Ma, pur con questa esperienza positiva, i bambini hanno bisogno dello sguardo, della vicinanza dei genitori. Sono stati contenti di fare i compiti con i genitori, questi ultimi un po’ meno. Si può fare qualcosa per favorire questa vicinanza priva dell’angoscia dell’epidemia?

Oltre che con i genitori i bambini hanno scoperto il rapporto con i fratelli, la casa (spazi, limiti…), hanno vissuto con curiosità la sospensione del tempo. Non più scandito dall’esterno, ma dall’interno, dai tempi familiari. Non è facile definirli. Perché svegliarsi alle sette se non bisogna andare a scuola? Occorre discutere, rinegoziare tutto. I riti sono accettati se sono finalizzati e se ne comprende la ragione. Per questo la didattica a distanza, al di là dei risultati scarsi, ha avuto questo merito: aiutare a scandire il tempo e a discutere di questo momento. E qui sono emerse le differenze: le famiglie abituate a parlare e a non avere paura della conflittualità, e quelle irrigidite nel rispetto delle regole. Si è creato un paradosso i bambini più piccoli, che avevano conquistato l’autonomia, ora tra le mura domestiche e senza impegni esterni rischiano di perderla. E’ scattata, quindi, la paura dei genitori, la teoria del piano inclinato. Se si scivola, se si cede, poi ci si abitua alla dipendenza… Da qui le rigidità immotivate e i capricci conseguenti. Non si tengono, però, presenti le capacità di adattamento dei bambini.

“Tutte le famiglie felici si assomigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Questa frase di Tolstoi  occorre correggerla. Non ci sono state famiglie felici e infelici, nel lockdown, tutte hanno dovuto cercare un equilibrio, una soluzione, nuove regole. Hanno parlato molto all’interno di libertà. Hanno scoperto che non può valere la frase: “la mia libertà termina quando inizia la libertà dell’altro”. Ma un’altra: “la mia libertà si ferma, si autolimita e inizia la mia responsabilità verso l’altro“.

Ci sono indagini svolte in questo periodo del Coronavirus, ne parla Massimo Ammanniti nel libro, “E poi, i bambini”. La grande maggioranza dei genitori ha notato cambiamenti emotivi e comportamentali nei figli (difficoltà di concentrazione, noia, irritabilità, solitudini, disturbi del sonno…). Si potrebbe pensare a un’altra indagine: i figli che osservano i genitori. Chissà che cosa hanno notato? Credo che i bambini e gli adolescenti hanno imparato di più degli adulti da questa esperienza.

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