“Ma serve davvero la scuola?” Una domanda scomoda e necessaria di questi tempi.

CULTURA

Aprirla non è una sfida politica, ma una prova per tutto il paese. Mostrare che si può agire con responsabilità e si può convivere con le paure, le incertezze, le difficoltà.

Apprezzabile l’impegno di tutte le componenti scolastiche nell’apertura dello scorso autunno, a fronte dell’inconcludenza politica (trasporti, banchi “tutti nuovi”, utilizzo di cinema e teatri…). Nei contagi si è mantenuta la calma e i genitori hanno agito con compostezza. Nel caos di questi giorni si afferma la modalità del “fate voi“. Far decidere ai genitori senza che questi abbiano le informazioni giuste, mi sembra una grande viltà. Diverso sarebbe stato dire: “Ho fatto tutto ciò che serviva. Ora conta la responsabilità personale”. E invece a settembre non è stato fatto quasi niente. Si inseguiva la perfezione e la novità. Invece si poteva pensare ai doppi turni, alla riduzione dell’ora di lezione… avviare una riflessione su “come fare scuola”, quali contenuti e quale didattica per alunni “cambiati” dal Covid.

Ma la scuola serve? Che idea ne hanno coloro che governano? Forse di un un parcheggio, come quando aprono la scuola solo per quei bambini i cui genitori lavorano. E’ una domanda necessaria. La trasmissione delle conoscenze, la cultura, l’apprendimento non sono qualcosa di aggiuntivo, una sovrastruttura, figlia del processo di civiltà o meglio civilizzazione. E’ il contrario. E’ legata alla natura umana, come mangiare, amare, sognare… Quando nelle grotte di Paglicci (FG) un nostro antenato disegnava cavalli sulle pareti, incideva graffiti… di sicuro c’erano altri intorno, i bambini che guardavano; e quando nella grotta si parlava della caccia, si faceva riferimento a quelle immagini… e “l’artista” diventava un maestro, trasmetteva visioni… Intorno al fuoco sono nati i miti, mondi immaginari, la parola… Così si passavano le conoscenze, esorcizzavano le paure… gli adulti raccontavano, i bambini imparavano e nasceva la comunità.

Il virus è “fantasmatico” e i fantasmi fanno paura. E la paura deve essere arginata, rispettata, non repressa o rimossa. L’argine è nelle parole, nell’ascolto, nel narrare, nelle immagini…

Bisogna aprire in sicurezza la scuola. Certamente. E se la mancata sicurezza fosse il frutto della scarsa capacità di previsione e di accortezza di chi governa? Quando costa un periodo così prolungato di assenza? Quanto la perdita di competenze? Gli investimenti nella scuola, nella ricerca, nella formazione servono allo sviluppo di conoscenze, a prevenire le malattie, le epidemie. L’aiuto a chi nasce in luoghi deprivati e in famiglie incapaci di assicurare sostegno ai figli, la creazione di asili nido e scuole pubbliche… sono gli strumenti più forti per contrastare le disuguaglianze.

Insomma la scuola è produttiva. Quando si parla delle scuole superiori (Didattica a distanza e altro) si fa riferimento solo ai Licei. Eppure il merito dello sviluppo industriale italiano va a ingegneri e operai qualificati che avevano frequentato scuole tecniche. Gli istituti tecnici, il recupero dei Neet (ragazzi che né vanno a scuola e né lavorano), le politiche attive del lavoro sono lo snodo fondamentale per la crescita e per correggere le iniquità economiche e sociali. Pesa in Italia la scarsa cura della scuola tecnica, che ha perso iscritti, e i genitori quasi si vergognano se i figli la frequentano. A Manfredonia (FG), il polo tecnologico (industriale – Fermi, nautico – Rotundi), per geometri – Euclide), è stato aggregato al liceo pedagogico. Tre istituti insieme, appena 384 alunni.

Next generation (o Ricovery fund) non può ridursi a una lista di progetti da presentare a Bruxelles, ma è l’occasione per esporre processi di sviluppo, riforme, azioni di trasformazione della realtà, per favorire l’occupazione di giovani e donne. E ora di fronte a una crisi di governo, pur con tutte le riserve, quale migliore opportunità per chiarire, pubblicamente e in Parlamento, scelte e obiettivi, e chiederne condivisione e sostegno? Se non si parla di scuola e sanità in tempi di Pandemia… quando? Ho letto che alcuni aspettano il festival di Sanremo come un diversivo, per allontanare la cupezza che ci accompagna. Il profilo del buon cittadino? Ascoltare e leggere preoccupato o angosciato l’ennesimo DPCM, e poi consolarsi con il festival canoro.

Share on FacebookShare on Google+Tweet about this on TwitterShare on LinkedIn