Lockdown e bambini. Le domande veramente serie sono solo quelle formulate da un bambino.

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I pediatri hanno visitato poco e prescritto ancor meno. Merito della mascherina e delle chiusure. Ma molti bambini e adolescenti chiedono aiuto perché soffrono “dentro”.

Il lockdown fa star male. Tutti notano la differenza tra primo lockdown e secondo. Il primo vissuto come cosa nuova, anticipo delle vacanze estive, le famiglie stavano insieme… Nell’autunno è diverso, i ragazzi, lasciati spesso soli, avvertono una precarietà incerta e prolungata.

Ho ascoltato piccoli racconti di famiglie con persone con disagio mentale, sussurrati (con un po’ di vergogna) in una telefonata, in incontri casuali: “mio figlio sta in casa, sdraiato, non vuole fare niente, mangia molto, è… aggressivo”. Le cure, gli incontri terapeutici sospesi... “Giornate cupe, tristi, senza un barlume…” Queste le immagini ricorrenti.

I disturbi e i malesseri corrono veloci, bambini e ragazzi che dormono poco, piangono spesso, mangiano male… Preoccupano adolescenti e preadolescenti: “un ragazzo su tre in questo momento potrebbe sviluppare disturbi che con evidenza si manifesteranno in seguito”. Aumentano i ricoveri in neuropsichiatria infantile e gli atti di autolesionismo. Un fenomeno generale. Il giornale “Le Monde” ne parla quotidianamente: ed in Francia si è insediata una commissione sui tanti tentativi di suicidi. C’è uno studio della fondazione Mondino di Pavia su 1649 ragazzi, che non avevano prima alcun disturbo. Il 79% ha “sintomi sottosoglia”. Campanelli d’allarme, che in alcuni si trasformano in patologie: alterazione del contenuto del pensiero, allucinazioni, incubi… Fenomeni che aumentano lo stress dei genitori e dell’intera famiglia, costretta a vivere spesso in spazi angusti, senza poter uscire, evadere… Degli effetti di Covid e Lockdown su bambini e adolescenti ne hanno parlato i neuropsichiatri Vicari e Borgatti in un’audizione al Senato.

Gli adolescenti non riescono a pensare al futuro, quello vicino, le vacanze di Pasqua, la primavera, l’estate… Hanno perso i punti di riferimento che contribuivano a organizzare tempo e giornate. Ora c’è il rientro per i più piccoli. Sono convinto che molti di questi malesseri si disperderanno con l’arrivo in classe, con ritmi di vita ritrovati, parlando, condividendo. La classe è tante cose: laboratorio, luogo di esercitazione logica e creativa, salotto … ed è anche agorà. Gli insegnanti (anch’essi con tante domande) devono organizzare l’agorà, non rifuggire da domande scomode, ma mettere in circolazione le parole, le esperienze. Già immagino la domanda: ci vuole lo psicologo! Forse è anche il tempo di uno psicologo a scuola… ma in classe il ruolo di guida è dell’insegnante. Parlare della pandemia, della morte… con bambini piccoli?

La Pandemia è un acceleratore, anche della sensibilità. Ha scritto don Mazzi in questi giorni che un bambino di 4 – 5 anni pone le stesse domande di un uomo di 30 anni. Anni fa, mio figlio di 4 anni, in un viaggio in auto (pochi giorni dopo la morte del nonno), iniziò a parlare, a fare domande, a tirare le sue conclusioni… Mi sforzavo di non essere evasivo. Ma lui non mi lasciava scampo. Sereno, senza ansia: “Si, papà, ma tu che pensi?”. Un’ora intera. Per tutto il viaggio. Rientrati a casa, lui inizia a giocare tranquillamente e io a pensare a quel dialogo.

In questo momento è bene ascoltare. E’ difficile parlare della morte? Non è così. I bambini non hanno imparato ancora a fingere o ignorare. Posti davanti alla morte ne avvertono la presenza e non sono abituati a metterla da parte. C’è una esperienza importante di due docenti italiani in università americane che con un gruppo di bambini hanno visitato Pompei. Ne hanno ricavato un racconto bello, vivo sul tempo e la morte.

“Filosofia per i bambini”, un’esperienza in molte scuole, anche a Manfredonia. Non una materia da apprendere ma un modo per esplorare il mondo, ponendoci le domande della vita: la paura, la diversità, Dio, i conflitti…  Il pensiero immaginifico del bambini non aspetta altro. Un pensiero che si espande, all’infinito. Dell’esperienza di Manfredonia, ho letto alcuni percorsi, molto interessanti. “Solo le domande dei bambini, quelle più ingenue, sono veramente serie” (Kundera). La filosofia serve a porre interrogativi, non fornire risposte. Importante è non fermare il gioco. Rispondere non deve significare chiudere il cerchio. Perché il cerchio non si chiude mai.

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