Endoxa. Verba volant… Quando il plagio è normale e la poesia non è di chi la scrive.

CULTURA

La rivista bimestrale on line Endoxa  (Università di Trieste e della Campania) invita a riflettere sulla contemporaneità partendo da parole significative. Sul numero di marzo la parola è plagio.

Esiste da sempre, ma il plagio diviene un problema con la scrittura, la nascita del libro, e oggi nella musica. E’, però, difficile provarlo. Internet (milioni di pagine scritte quotidianamente on line) ha reso impossibile verificare le fonti e l’identità degli autori.

Il nuovo numero di Endoxa si apre con una provocazione di Riccardo Dal Ferro: “Chi può dire che questo editoriale sia originale o non abbia utilizzato testi già presenti nel web? Plagio è parola latina, indicava il furto degli schiavi, poi è passato a indicare il furto delle opere dell’ingegno. Ma plagio significa anche il furto delle menti, sottomissione della volontà altrui (lavaggio del cervello). Pare che il primo a parlarne sia Marziale. I suoi epigrammi girano per Roma, c’è, però chi se ne appropria e li fa passare per suoi. Si rivolge a Quinziano: “tu devi dire che sono miei… Se dirai questo più di una volta a voce alta, / costringerai il plagiario a provare un po’ di vergogna” (impones plagiario pudorem).

C’è però un tempo in cui il plagio era normalmente praticato. Allora non c’era la scrittura, e storie, aneddoti, proverbi, racconti, fiabe… circolavano liberamente, percorrevano distanze immense. Omero parla di parole alate. Su questo argomento ho pubblicato su Endoxa un mio contributo: Verba volant… Quando il plagio era naturale e necessario.

La parola nella cultura orale nasce da situazioni concrete, da interazioni immediate tra esseri umani, ed è per questo agonistica, enfatica, ridondante, gestuale. La lingua orale si rivolge a un uditorio, a persone che ascoltano; si usano ripetizioni, epiteti, espressioni aggregative per mantenere l’attenzione e rendere più facile il ricordo di situazioni e personaggi. Lo stesso aggettivo li accompagna lungo il racconto e li fissa nella memoria: l’astuto Ulisse, il saggio Nestore, il prode Orlando… Modalità che troviamo nell’Iliade, Gilgamesh, Le mille e una notte, Chanson de Roland… Ma l’oralità include anche i gesti, la voce, l’espressione del viso. Impegna tutto il corpo. L’attività corporea non è un elemento aggiuntivo, esterno, è una componente naturale e inevitabile. Il plagio c’è e non c’è! Le storie si somigliano, ma il racconto procede ogni volta con un ritmo diverso. “Lo cunto è nente, tutto sta come lo cunto se porta”, dice una narratrice popolare siciliana a Leonardo Sciascia. E Leopardi aggiunge: “Tutto è progredito da Omero in poi fuorché la poesia“.

La cultura orale è poco creativa? Manca l’originalità? Vi è, comunque, un modo sempre nuovo di interagire con il pubblico. Il narratore dà vita a una performance mimica e vocale rivolta a rendere più efficace la storia. Nella tradizione africana e in tutti i popoli a cultura orale la comunicazione non è solo orale, è teatrale, il gesto accompagna e precede la parola. Il Nobel della letteratura del 1986, Soyinka, sottolinea che vi è continuità tra tradizione orale del suo popolo (Yoruba) e le sue opere teatrali.

Con la scrittura la parola è messa nel freezer, diviene proprietà privata e può essere scongelata a distanza di secoli. Con essa nasce la filosofia, la matematica, la geometria… Alla scrittura appartiene il sillogismo, al mondo dell’oralità gli indovinelli, gli stornelli, i proverbi… usati per sostenere vere e proprie battaglie orali. I missionari cattolici in America latina si meravigliavano che gli indigeni non conoscevano la ruota, ma erano abili nell’arte della negoziazione e dell’argomentazione… e avevano cura e rispetto per la parola.

C’è un simpatico scontro tra cultura orale e cultura della scrittura nel film “Il postino”, l’ultimo di Massimo Troisi. Mario Ruoppolo è il postino del poeta Pablo Neruda in esilio nell’isola. Nasce un’amicizia tra i due e Mario scopre la poesia… Nel frattempo si innamora di Beatrice e chiede al poeta di aiutarlo, scrivendogli una poesia da dedicarle. Mario fa passare la poesia come sua, Pablo Neruda lo rimprovera, ma lui risponde sorpreso e risentito: “la poesia non è di chi la scrive, ma di chi se ne serve”.

Per leggere l’intero articolo e gli altri testi cfr Endoxa, Marzo 2021

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