Il mistero di uno sguardo e la forza di una tradizione che può ancora arricchire la vita.

CULTURA

Coloro che stanno fuori conservano sempre l’abitudine di fermarsi per la “festa della Madonna”. Forse più di prima. Anche quelli che lamentano un distacco, una lontananza con i residenti, con la città come è divenuta…

Restano per il Luna Park, i fuochi d’artificio…? Soprattutto per la processione. Ho conosciuto emigrati (America, Australia), giunti dopo 30, 40 anni per una festa vissuta da bambini o comunicata loro dai genitori. Alcuni anni fa, una donna, nata in America (New Jersey), figlia di emigranti, inviò un piccolo contributo al Comitato festa patronale. Aveva 50 anni: scriveva che non era mai venuta a Manfredonia, ma il padre le aveva raccontato tante volte la festa; lui non era più tornato ed era questo il suo maggiore rimpianto.

Un pomeriggio assolato, caldo, il quadro della Madonna uscì fuori dalla Cattedrale, l’intera piazza gremita, rumorosa. L’arcivescovo era D’Addario. L’icona era a Bari per il restauro, in processione era portata la copia… qualcuno sentenziava: “il popolo protesterà”. Nel momento in cui venne girata e rivolta verso i fedeli nella grande piazza, un’esclamazione di stupore, meraviglia, poi un lungo, unanime applauso, il canto spontaneo, gli occhi di molti pieni di lacrime… Mi trovavo ai margini, lontano, questo è ciò che vidi. C’è qualcosa di misterioso in quell’icona. Uno sguardo che trasmette a ciascuno e al popolo radunato sentimenti di comprensione, benevolenza, mitezza… Ma uno sguardo che domanda, interroga…

Risale all’XI secolo. All’inizio del Settecento, il domenicano Padre Serafino Montorio (Lo Zodiaco di Maria 1715) ricordava le dodici immagini di Maria venerate in Capitanata. Prima fra tutte quella di Siponto. Un culto a Maria che prima era riservato a una statua lignea del VI secolo, la Sipontina: La Madonna dagli occhi sbarrati, perché, secondo la tradizione popolare, aveva assistito a uno stupro. Sempre il linguaggio degli occhi!

Durante il Sinodo ci furono preti che invocavano l’uso di parole “corrette”: non Madonna, ma Madre di Dio, Tuttasanta, Semprevergine… Nei documenti antichi si parla di “Mater Dei genitrix”, della Basilica dedicata “Sanctae Dei genitricis Mariae”. Ma per il popolo è semplicemente la Madonna di Siponto, né attraggono l’incoronazione della Vergine, il mosaico, il monumento sulla facciata del Duomo; l’attenzione è tutta per quel quadro. La processione è imponente, alcuni parlano di sfilata, forme appariscenti, ostentazione. Ma c’è un’altra processione quella silenziosa, personale, ininterrotta, che sfila in Cattedrale, davanti al quadro, per tre giorni e oltre.

“La processione non si vede quando esce ma quando rientra”. E al ritorno, piazza e strade vicine sono stracolme. Ero piccolo. La mia famiglia si era trasferita da S. Giovanni Rotondo. Mio padre mi aveva affidato a una amica di famiglia per portarmi a casa (via quattro Novembre). Non so come… mi trovai solo. Nella folla. Girai a lungo intorno. C’era tanta gente, le voci, la musica… Trascorsero diverse ore, i miei genitori avvisarono vigili e polizia. Arrivai a casa da solo molto tardi, la porta spalancata, le donne del quartiere sulla soglia… ricordo mia madre che mi abbracciava, teneva sulle ginocchia e piangeva.

Un affetto, un legame… che resta intatto. Una processione di popolo, che non finisce mai. La prima volta che ne osservai la vastità fu negli anni Settanta. Vidi persone che conoscevo, compagni del sindacato, anche comunisti… La sera telefonai a un amico sacerdote e gli chiesi provocatoriamente: “Non vi sentite addosso la responsabilità per tante aspettative…” E lui: “Chiedono dignità, rispetto, lavoro… non dovremmo pensarci solo noi… Lo sai bene!”.

Si prevedeva più modernità e meno religione. Invece interrogativi vecchi e nuovi non trovano risposte nella politica, nella scienza, nella ragione. Jurgen Habermas, uno dei grandi pensatori del nostro tempo, ha detto che credenti illuminati e persone semplici possono offrire un contributo alla democrazia e alla convivenza civile e politica. La tradizione religiosa esprime “intuizioni morali e sollecitazioni soprattutto nel rispetto verso forme di vita vulnerabili”. La tradizione religiosa, costruita in un cammino di generazioni che si perde nel tempo, può aiutare individui secolarizzati e non credenti a scoprire percorsi di verità nascosti, che arricchiscono la vita di ognuno.

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