Senza tregua. Eppure questa guerra passerà. Ritorneranno i prati. E i morti? E l’odio?

SENZA CATEGORIA

La tregua di Natale auspicata, invocata… Ma poi di quale
Natale, quello ortodosso del 7 gennaio o quello cristiano del 25 dicembre?

Il pensiero ricorre al 1914 sul fronte franco tedesco (la guerra era iniziata a luglio) e i soldati la notte di Natale si scambiano gli auguri, cantano… fermano le ostilità. Una strana tregua in vari punti del lungo schieramento. I soldati erano ancora freschi di “umanità”. Poi questi momenti di fraternità si diradano, la guerra disumanizza, i corpi imputridiscono, scompaiono nel fango, nella neve… Sul fronte italiano qualcosa di analogo nel Natale 1915 (l’Italia era entrata in guerra in quell’anno).

Sulle guerre abbiamo una immensa memorialistica. Tutti sentono il bisogno di raccontare un’esperienza che stravolge tutto. “Memorie di guerra” sono spesso intitolate, scritte da persone che a stento hanno completato le scuole elementari. Ne ho letto alcune. Una di S. Giovanni Rotondo parla proprio del Natale 1915, un documento interessante, semplice, descrive ciò che vide. Ho ascoltato poi un anziano muratore che, sull’esperienza di guerra e di prigionia, aveva scritto vari quaderni, conservati con cura, li correggeva, aggiungeva… un giorno non li trovò più. Una perdita per lui atroce. La moglie li aveva buttati via, perché lo vedeva rattristarsi ogni volta che li rileggeva.

Di quella tregua del 1914 parlò la stampa dei paesi allora neutrali. In questa guerra non ci sono punti di vista neutrali. La responsabilità dell’invasore russo è totale e assoluta, ma questo non esime tutti gli altri soggetti. Borrell e Ursula von der Leyen dichiararono che l’Ucraina avrebbe lottato fino all’ultimo uomo e che gli ucraini difendevano i nostri confini, le nostre libertà! La guerra è guerra, non ci sono persone che si salvano, siamo tutti sommersi. Si parla di piani di pace per l’anniversario di guerra (24 febbraio), e nel frattempo… la guerra continua. Ogni azione o reazione comporta sofferenze inenarrabili per persone inermi, e per essi, nei discorsi pubblici, non c’è nessuna parola, pietà. “La guerra è sempre evitabile, in quanto prodotto degli errori, delle presunzioni, delle arroganze, dei calcoli, degli affari che gli uomini di potere decidono di mettere al primo posto, prima della vita delle persone” (Tarquinio).

Una guerra simile per molti aspetti alla prima guerra mondiale e per altri alla seconda. E’ guerra tra Stati, ma con molti attori non convenzionali (mercenari, reti terroristiche, armi sofisticate..), ed è guerra civile e religiosa. Non ci sono auguri di Natale da una trincea all’altra. I cattolici festeggiano il 25 dicembre, ad essi si aggiungono gli ortodossi separati da Mosca: modificano il calendario per non festeggiare a gennaio con gli invasori. In Ucraina le chiese ortodosse si contendono Dio. Un intreccio di politica e religione che potrebbe peggiorare la situazione e l’odio religioso tra vicini di casa è tremendo. Intanto parrocchie contese, elenchi di ecclesiastici collaborazionisti, perquisizioni… Insomma sembra l’Europa del 500 – 600. Si invoca la mediazione vaticana, ma basta leggere la posizione di alcuni esponenti cattolici per capire che anch’essi sono schierati e che la situazione è carica di rancore, violenza.

Non si impara nulla dalla storia passata. Nelle pianure ucraine ritorneranno i prati, i campi di grano… “ritorneranno i prati” è il titolo di un film di Ermanno Olmi, dedicato alla memoria di tanti giovani che nelle trincee del Carso hanno sofferto e combattuto. In quei luoghi sarebbero cresciuti i prati e di quel che c’è stato non si sarebbe visto più nulla. Il film è uscito nel 2014, centenario della grande guerra, ma per Olmi non c’era nulla da festeggiare di una guerra senza senso.

Non ci sono altre forme di resistenza, disobbedienza civile, mobilitazione popolare, quella che portò i russi a scarcerare il sindaco arrestato. Non ci sono “bonzi” in Ucraina, per seppellire i morti. Il film L’arpa birmana racconta la scelta del soldato Mizushima. I giapponesi si arrendono in Birmania, ma c’è un’ultima sacca di resistenza. Gli alleati permettono al soldato Mizushima di recarsi a convincere i soldati. Non si arrendono. Prevale il senso dell’onore. Sono tutti uccisi. Sconvolto entra in un monastero buddista… poi con un’arpa inizia a ripercorre le strade della guerra, si chiede perché tanta distruzione. Ma non c’è risposta umana a un interrogativo inumano. Scrive ai suoi amici che ripartono che, nonostante il desiderio di tornare con loro e lavorare per ricostruire il paese distrutto, lui resta per seppellire i morti. “Quando vidi i morti giacere insepolti, preda di avvoltoi, della dimenticanza e dell’indifferenza decisi di rimanere, perché le migliaia e migliaia di anime sapessero che una memoria d’amore le ricordava tutte, ad una ad una. Passeranno gli anni, tanti anni prima che io finisca…”

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