Ricordare la Shoah. Oltre la memoria. Solo la storia ci potrà salvare.

CULTURA

La giornata della memoria sembra aver perso da qualche anno la forza e la vitalità del suo messaggio: un’occasione per ricordare un evento specifico (sterminio degli ebrei), ed anche un significato universale di prevenzione di ogni genocidio. Quest’anno la giornata è offuscata per quanto accade in Medio Oriente.

Il 27 gennaio del 1945 l’Armata Rossa libera il lager di Auschwitz. E’ giornata della Shoah; qualcuno ha visto il ricordo di un solo genocidio, ed allora ecco altre giornate: il 10 febbraio quello delle foibe, il 24 aprile degli Armeni… Il 6 agosto si ricorda Hiroshima, e si prega per la pace. I “buchi neri” della storia sono fissati in date simboliche, descritti in migliaia di musei e luoghi “attrezzati” per ricordare, affidati alle testimonianze e ai memoriali dei sopravvissuti. I testimoni sono stati preziosi, ma essi stessi vivevano un’angoscia: “E quando noi non ci saremo più?” Troppo debole affidarsi ai ricordi personali, fragile una memoria celebrativa, retorici i tanti “mai più” pronunciati da tutti, gente umile e grandi della terra.

Primo Levi, Zygmunt Bauman, Elie Wiesel… ci hanno spiegato il meccanismo dei lager, le zone grigie, la rete di complicità. Lo storico israeliano Yehuda Bauer ha detto che i carnefici non erano mostri o demoni, ma esseri umani. La shoah non dove riguardare solo gli ebrei, ma l’umanità. Gli ebrei perseguitati, non in quanto individui disturbatori e corrosivi della società, ma perché appartenenti a un ordine inferiore. Centrali e fondamentali sono quindi le leggi razziali, con tutto il corredo di cacciata dalle scuole, dal lavoro, persecuzioni personali, beni usurpati… Nell’elaborazione e applicazione delle quali l’Italia non è stata seconda alla Germania. La difesa della razza, una rivista quindicinale uscita dal 1938 al 1943 (117 numeri), per diffondere e difendere la purezza della razza ariana, come viene codificata in un manifesto in 10 punti da studiosi e docenti nelle università italiane. L’esclusione degli ebrei era prioritaria, ma dentro c’erano rom, gay, apolidi … tutti non cittadini. Questi si trovavano in maggioranza nel campo di concentramento di Manfredonia (1940 – 1943), che ospitò oltre 519 persone: 32 gli ebrei (trasferiti poi ad Auschwitz), gli altri erano anarchici, disertori, sovversivi, figure asociali. E’ evidente il ruolo minore dell’Italia nell’Olocausto, ma non nel “credo” di una ideologia razzista, nel sostegno ad una politica che considerava gli ebrei (e non solo) razza inferiore, scorticava dalla pelle l’appartenenza umana, rendeva possibile quella disumanizzazione dell’avversario, così consueta oggi nelle tante guerre.

La Convenzione Onu sulla prevenzione del genocidio è del 1948. Come ricordare la shoah? Nel 1967 un dibattito tra due grandi studiosi ebrei: George Steiner e Elie Wiesel. Steiner sosteneva che chi raccontava svolgeva un’opera inadeguata se presentava la Shoah quale male estremo ed esclusivo. I sopravvissuti portavano cicatrici terribili, ma potevano permettersi di essere irritanti, insofferenti, molesti ogniqualvolta la politica diveniva nazionalista, cattiva… Dovevano essere sentinelle del male. Ecco perché stona che, dopo aver detto tutto l’orrore possibile sul massacro di Hamas, non si sentono voci critiche nelle comunità ebraiche sulla vendetta infinita di Israele, sulle proposte per confinare i palestinesi (isola, Stato africano…).

Non è stato Primo Levi  a domandarsi nella guerra del Libano, se la memoria della Shoah non si affievolisca quando il governo israeliano sceglie di annettersi territori palestinesi? Tanti testimoni esprimono disappunto quando si aggiungono alla Shoah altri genocidi. Vorrebbero che l’Olocausto venisse raccontato come evento unico che ha colpito solo gli ebrei. Una preoccupazione forse giustificata, ma che rischia di essere una trappola, perché separa il popolo ebraico dal resto dell’umanità. Quante volte in questi anni e giorni ci siamo sentiti rivolgere la domanda dagli studenti: perché solo la Shoah e non altri crimini?

“La memoria della Shoah vivrà nel tempo se sarà anello di congiunzione tra tutte le memorie dei genocidi e sarà in grado di confrontarsi ogni volta con i germi del male” (Nissim). La memoria della Shoah è utile se crea scandalo, lancia il suo “grido” contro i nuovi muri, i nuovi orrori. Ci sono autori ebrei che vanno riscoperti: Sebald, Jonathan Safran Foer... Lo scrittore David Rousset, scampato a Buchenwald, diceva che essere “figli della Shoah” e custodi della memoria significa riscattare le vittime del passato con la solidarietà attiva nei confronti dei nuovi perseguitati.

Negli ultimi 20 anni centinaia i libri, i film… Ogni angolo sembra esplorato… eppure sembra mancare qualche anello di collegamento con il presente. La giornata della memoria ha avuto una diffusione capillare nelle scuole, ha permesso di scuotere le coscienze, l’indifferenza. Ci sono però riflessioni importanti censurate, i massacri in Ucraina e Polonia, le vecchie e nuove forme di antisemitismo. Occorre ribadire il diritto a esistere dello Stato di Israele, e non come avamposto dell’Occidente (anche se l’Europa si è lavata la coscienza a spese dei Palestinesi).

C’è un’urgenza però. Occorre ritornare alla storia, che non consiste nella passiva accettazione degli eventi, ma nella comprensione profonda dei fenomeni, consapevolezza dei processi che hanno portato a scelte politiche compiute da uomini e governi. Solo la storia “ci libera dall’angoscia della memoria… purifica la nostra memoria”. Non è inappellabile, non esalta né condanna. “Non pronunzia mai nessuno dei due contrapposti avverbi ‘sempre’ e ‘mai’: non è mistica, né metafisica. Gli Osanna e i Crucifige non le appartengono” (Cardini, Luoghi dell’Infinito).

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